sabato, dicembre 19, 2009

NESSUNO TOCCHI IL PESCE ROSSO

Prologo
Il libro al quale si fa recensione è, di Maria Gabriella Genisi, Il pesce rosso non abita più qui, Edizioni La Fenice. Di questo libro è stato detto, nonostante le più ferme smentite dell’autrice, che si racconti di Sandro Bondi, celato dallo pseudonimo Salvo Toscani.
Il Congresso del quale si narra è il IV Congresso di Nessuno tocchi Caino, il 17 e 18 dicembre nella Casa di Reclusione di Padova.

19/12/2009

Cara Gabriella, questa recensione la scrivo in forma di lettera, a mano, perché così mi sento.
Ti ho contattato, su facebook, per una curiosità e perché amo le scrittrici che parlano della verità attraverso i racconti; ci siamo già dette, alla Casa internazionale delle donne, a Roma, dove hai presentato il tuo libro il 15, che l’arte è visionaria, l’arte è magia, prevede quello che accadrà dopo, ma è nella descrizione di cose vere (che non vuol dire reali né esatte) che la preveggenza dell’arte dà il suo meglio.
Cleofe, dunque, perché è lei la protagonista, e non Salvo. Cleofe è vera dai piedi ai capelli, vera di vera umanità, con suo figlio che dorme in macchina, il pareo leopardato, e, tanta, la sua bella innocenza. Dove per innocenza intendo quella etimologica, “che non nuoce”, “che non agisce per far del male”, che è poi la traduzione latina dell’ indiano ahimsa, nonviolenza.
Ti scrivo dal treno che mi porta in carcere, quel carcere italiano dove accadono cose davvero contrarie alla natura, e il nesso c’è, sono certa che c’è, col tuo libro.
Salvo è indefinito, di lui resta solo un tremolio di bianche carni, un sudore malsano, un digrignio di denti, “unghie ben curate e perfette”. Ho letto qualche mese fa di Alexander Lowen "Il Narcisismo, l'identità rinnegata ", dove si descrive un disturbo che da malattia individuale è diventata una malattia sociale, nella modernità; Salvo, nella sua narcisistica negazione degli altri, nel suo essere altro dal suo corpo, e dalle sue emozioni, non esiste più come essere umano, è un parassita che non attende altro che l’arrivo di un parassita ancor più parassita di lui che se lo mangi …
… Riprendo dopo trentasei ore, quante ne bastano e ne avanzano per uscire da un carcere italiano morti di morte naturale seguita o preceduta da arresta cardiaco per cause ancora da stabilire, nel ritorno dal Congresso di Nessuno tocchi Caino nel gelido cemento di una delle strutture carcerarie di Padova. In questo congresso, che è stato un congresso radicale come non se ne vedeva dai tempi di Ginevra e Tirana e del congresso lungo un anno, ho trovato molti dei fili logici che cercavo.
Cleofe, intanto, che si mantiene un figlio in autonomia facendo la cassiera con uno stipendio specificato di ottocentosessantacinque euro, che porta pure il figlio al mare con l’insalata di riso e l’acqua fresca, non può sapere la ferrea logica di dominio che guida le azioni di Salvo. La catena di comando dal Presidente a lui, da lui ad altri, da loro tutti insieme sui sudditi. Non sa di essere una suddita agli occhi del Sottosegretario, pensa di aver di fronte una persona, un essere umano. Errore madornale.
Salvo Toscani, invece, conosce, eccome se conosce, la condizione sociale di Cleofe, e di questo si nutre, perché il dominio, e non l’amore, lo eccita. “Io voglio sapere tutto di te” è una delle prime frasi che le dice, e lei, sciaguratamente, non solo glielo racconta ma gli dà pure il numero di telefono. In uno scambio di sms successivi, di fronte alla chiara richiesta di Salvo “Il bacio che cerco è la tua anima”, risponderà “Ti darò l’anima e tutto quello che ho”.
Cleofe non si rende conto ed è inutile chiedersi come è possibile, capita, specie a 32 anni e con una vita quotidiana dura fino dall’ infanzia, che la loro non è una storia, ma una frazione di storia, per lui.
Certo, Salvo le scrive versi d’amore e gioca con lei come un ragno con la mosca; racconta anche a se stesso che è un grande amore, e lo racconta a lei, “Sai – mi disse un giorno – tutti si sono accorti dei miei messaggini: ti rispondo sempre anche mentre sono in riunione col presidente. A lui non sfugge nulla … Sai cosa mi ha detto? … Dev’ essere un grande amore il tuo”.
Come se la compulsione fosse amore.
Il rapporto del presidente con Salvo si intreccia saldamente a quello di Salvo e Cleofe. Rapporti di dominio.
Anche a Padova si è parlato di dominio, di pena di morte e di segreti di Stato, di morti dove il suicidio non si distingue più dall’ omicidio, di giudici con la faccia da uomo che archiviano come morte naturale una morte che è ancor meno naturale della vita che Eluana Englaro ha subito per diciassette anni. Una morte del tutto artificiale.
L’artificio però non è arte.
C’è artificio nella politica italiana, negli uomini corrotti e affetti da gravi disturbi narcistici che ci governano.
C’è artificio nella compulsione moderna agli sms, alle mail, e a cento altre cose.
C’è artificio e truffa nei miliardi di euro che questi psicotici riescono a rubare ai sudditi, ognuno nella sua posizione gerarchica, alle cassiere e ai detenuti, ai malati e agli operai, perfino ai bambini orfani e diversamente abili.
Nell’ arte la libertà.
Arte che Oliviero Toscani (guarda te che singolare coincidenza di nomi :) ha richiamato nel suo intervento, a Padova; arte che finalmente dopo lunghi anni di assenza sembra aver ripreso il suo buon rapporto con il Partito Radicale.
Arte che è un atto magico necessario alla nobiltà della politica.
Arte che ritrovo nel tuo libro, nei suoi molteplici livelli di lettura; ed hai ragione, non è un libro hard, e neanche erotico: l’erotismo di Salvo è inesistente, fatto di languide proiezioni narcisistiche. Cleofe niente ci dice del suo erotismo; ci racconta di un amore.
Le domande del simpatico giornalista del Riformista presente all’incontro di martedì sera, non le ho capite. Intanto il suo pruriginoso stupore per il fatto dei capezzoli, che secondo lui è normale succhiare solo se di donna; non ho capito perché gli sembrasse tanto strano un fatto del tutto innocente, quale è la sensibilità dei capezzoli sia di donna che di uomo. Mi sono chiesta in che mondo viva, visto che basta fare un veloce giro informativo nei market del sesso, a Amsterdam come su Internet, per vedere che esiste un mercato dedicato e che ci sono cose ben più strane.
Così come non ho capito quando ha letto l’ultima mail di Salvo a Cleofe (dove è inserita, appunto, ad arte, una frase di Veltroni), insinuando che forse gli uomini, e questo tipo di uomini, poverelli, questi tesorini di parassiti pieni di soldi fino alle orecchie, si sentono abbandonati se la cassiera innamorata, all’ alba, balza via dal letto per correre a casa e portare a scuola il figlio prima di andare a lavorare, dopo, peraltro, aver pazientemente assistito, con plauso e gratis, alle performance del verme, sentendosi “per giunta in colpa per aver pensato … che prendesse il viagra”.
E’ ovvio che a Salvo non basta l’ossessione che ha scatenato in Cleofe, e se anche lei lo amasse di più, sacrificando pure il figlio, la scaricherebbe ugualmente con una mail dopo averla presa in giro in tutti i modi per un anno e mezzo. Lo si capisce fin dall’inizio, da tanti segni che lei non vuol vedere; lui non cerca amore né gioco, solo artificio e dominio, e si divide, sempre rigorosamente fuori da se stesso, tra una moglie, due amanti e serate di escort.
Cleofe per lui non esiste, se non come cibo. Ed è esattamente il non vedere la condizione umana, sempre nell’intervento di Oliviero Toscani a Padova, che sprofonda la politica e l’arte nella mediocrità e nella vergogna.
“Perché tu non c’eri, Cleo. Per questo ti ho lasciato”, il titolo dell’ultimo capitolo, quello che riporta l’ultima lettera di Salvo, che prosegue “E invece c’era tuo figlio in cima alla lista delle tue priorità. Fuggivi via all’ alba come Cenerentola scalza ed io non potevo chiederti altro”. Neanche per un attimo lo sfiora il pensiero che si possa dare, oltre che chiedere.
Qui finisce la mia lettera scritta a mano, l’ho fatta anche troppo lunga, anche se non ho detto proprio tutto. Ne riparleremo, perché è un libro del quale vale la pena parlare, ciao un abbraccio Claudia
P.S. E’ bello che Claudia ci sia, nel libro, e che sia una donna che scrive ;).


Maria Gabriella Genisi Cara Claudia,
ho letto la tua bellissima lettera d'un fiato,
e adesso ho la pelle increspata da un brivido.
perchè tu, da donna, hai colto l'essenza del libro.
una storia su due livelli, uno quello semplice di Cleo, donna senza artificio, l'altro quello vuoto e subdolo del potere, di chi si sente solo in diritto di avere....
lasciamo perdere gli uomini, ma mi è dispiaciuto che tante donne, la Ravera ad esempio, senza neppure aver letto questa storia la bbiano bollata come storia hard, o come una banale vendetta.
ti ringrazio ancora, da donna a donna.
ti voglio bene anche se ti ho incontrata per mezz'ora,
gabriella

Claudia Sterzi Non è poi solo un fatto di donne e uomini; ci sono squali femmine, come la donna che prende possesso di Salvo, sudditi - escort sia maschi che femmine. Certo il primordiale modello di dominio è quello maschi su femmine, e nella media è preponderante, anche perchè statisticamente le donne sono svantaggiate, in Italia come in tutto il mondo. Sono felice che ti sia piaciuta, lascia fare la Ravera, ognuno vede il riflesso di se stesso, si vede che coltiva pensieri hard e vendicativi :))

lunedì, dicembre 07, 2009

BORIS VIAN

JE BOIS

Je bois
Systématiquement
Pour oublier les amis de ma femme
Je bois
Systématiquement...
Pour oublier tous mes emmerdements

Je bois
N'importe quel jaja
Pourvu qu'il fasse ses douze degrés cinque
Je bois
La pire des vinasses
C'est dégueulasse, mais ça fait passer l'temps

La vie est-elle tell'ment marrante
La vie est-elle tell'ment vivante
Je pose ces deux questions
La vie vaut-elle d'être vécue
L'amour vaut-il qu'on soit cocu
Je pose ces deux questions
Auxquelles personne ne répond... et

Je bois
Systématiquement
Pour oublier le prochain jour du terme
Je bois
Systématiquement
Pour oublier que je n'ai plus vingt ans

Je bois
Dès que j'ai des loisirs
Pour être saoul, pour ne plus voir ma gueule
Je bois
Sans y prendre plaisir
Pour pas me dire qu'il faudrait en finir...

sabato, ottobre 10, 2009



Sabato 31 ottobre 2009

20 anni di

collage de 'pataphysique
festeggiati

al Bar ReDesiderio di Brescia

con l’ inaugurazione della mostra Stuzzicadenti per Jarry
sabato 31 ottobre 2009
26 Haha giorno della Commemorazione dello Stuzzicadenti

Ore 20 esatte!

con Diplomazioni e onoranze varie…

Riewert Erich, Stefano Colonna, Marc Decimo, Enrico Gandolfi, Stefano Marinucci, Alain Pierre Pillet, Alphonse Ferrara, Claudio Yaccarino, Ezia Mitolo, Fernando Arrabal, Gretel Fehr, Guillaume Po’, Ido Breza, I Santini del Prete, Lino Polegato, Massimo Pisani, Pasko Simone, Patrizia Diamante, Pino Guzzonato, Pol Pierart, Ruggero Maggi, Bruno Bontempo, Donato di Poce, Beppe Bruni, Vitore Baroni
NUOVO MEMBRO E NUOVA MEMBRANA

il tuo diploma ti attende!

Il Bar ReDesiderio é situato nel centro storico di Brescia, in Vicolo Lungo 11.
La zona è a traffico limitiato con telecamere: ti consigliamo di parcheggiare nella vicina Piazza Tebaldo Brusato, in Piazzale Arnaldo o nel parcheggio a pagamento in Piazza delle Poste.

Consulta il blog del Collage de ‘Pataphysique:
http://collagedepataphysique.wordpress.com/

domenica, ottobre 04, 2009


Enrico Baj - Il giardino delle delizie... Omaggio a Max Ernst
Adinolfa, 1990, acrilici e colllage su tela, cm 100x160.


ORATORIO DELLA MADONNA DELLE GRAZIE

Borgo Di Vigoleno (29010)
+39 3297503774

Vigoleno, uno dei Borghi più belli d'Italia, accoglie "Il Giardino delle delizie" di Enrico Baj (1924-2003), fondatore del Movimento Nucleare e grande maestro della Patafisica, quarta mostra in omaggio a Max Ernst.
orario: sabato e festivi 11-12.30 e 15-18.30
(possono variare, verificare sempre via telefono)
biglietti: free admittance
vernissage: 3 ottobre 2009. ore 11.30
catalogo: in galleria.
curatori: Valentina Tovaglia
autori: Enrico Baj
patrocini: di Vernasca, Provincia di Piacenza, Regione Emilia Romagna, Borgo delle Arti, Castello di Vigoleno,
mim Museum in Motion, Associazione Castelli del Ducato di Parma & Piacenza, I Musei del Piacentino, Associazione Piacenza Musei
note: Evento realizzato in occasione della Quinta Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI.
In collaborazione con: Galleria Gió Marconi – Milano - www.giomarconi.com
Con in sostegno di: Castello di Vigoleno
Promozione e Organizzazione: Fondazione D'Ars Oscar Signorini onlus – Via Sant’Agnese 3 Milano – Tel. 02 860290 - www.fondazionedars.it - info@fondazionedars.it - Coordinamento: Roberta Castellani e Alessandro Azzoni Tel. 338 2531126
qui il testo del doctor faustroll, patafisico

domenica, luglio 19, 2009

Una cieca e inflessibile mancanza di disciplina in ogni tempo costituisce la vera forza di tutti gli uomini liberi.

Alfred Jerry
(da Ubu Enchained, atto I, scena 2)

lunedì, luglio 13, 2009

da: http://www.nokoss.net/2009/07/10/robert-wyatt-la-voce-e-i-riflessi/


Robert Wyatt: la voce e i riflessi
di Stefano Aicardi - 10/07/2009

Robert Wyatt è forse la figura più universalmente rispettata nel mondo del rock, a cui ancora oggi continua a dare lezioni di finezza espressiva e autenticità. Nato a Bristol 64 anni fa, Wyatt vive dal 1973 su una sedia a rotelle, a causa della caduta da una finestra durante un party. Prima dell’incidente, Wyatt era già considerato uno dei padri nobili del jazz-rock e del progressive, sia come collaboratore dei Caravan (il gruppo più importante della nidiata di bands attive a Canterbury ed accomunate da un tipo di prog comunque vicino al formato della canzone melodica) sia come fondatore di Soft Machine e Matching Mole. Con i due album dei Matching Mole, in particolare, Wyatt aveva aperto la strada per un jazz-rock che a dispetto dei grandi nomi coinvolti (incluso Brian Eno) non scadeva nel tecnicismo. Uno spazio sempre maggiore era infatti occupato da tastiere giocattolo e in generale da strumenti elettronici che completavano il lavoro di echi e sovrapposizioni fatto sulla voce di Wyatt. Se Tim Buckley saltava continuamente da un estremo all’altro delle cinque ottave di estensione della sua voce, Wyatt otteneva lo stesso effetto rimanendo sui registri più alti e combinando vocalizzi, gorgheggi, distorsioni e sussurri riassumibili nell’intento di applicare alla musica la patafisica di Alfred Jarry (la “scienza delle combinazioni possibili” intesa come terra di mezzo colorata e sottile tra la provocazione dadaista informale e lo sproloquio barocco col suo sovraccarico di toni).
“Starsailor” di Buckley (1971) e “Rock bottom”, secondo disco solista di Wyatt pubblicato nel 1974, sono i dischi più belli e per ragioni opposte inaccessibili della storia del rock, e non a caso condividono il tema di fondo: la vastità infinita degli spazi siderali per Buckley e dei fondali marini per Wyatt come esplorazione insieme vissuta ed immaginata, derivata da una condizione di impotenza concreta (la dipendenza dalle droghe per Buckley, la convalescenza post-incidente per Wyatt). La “Alifie/Alifib” evocata da Wyatt come un mantra di stampo dada è tanto l’immagine più astratta e sognata. Per descrivere meglio la qualità di queste visioni si potrebbe pensare all’Alice di Lewis Carroll, a come gli incontri con i vari personaggi sognati passano regolarmente dall’astrazione pura a un incubo “organizzato” da cui scappare per non perdere la vita.
Il tema all’apparenza, usurato, del viaggio è rivitalizzato e messo molto tra le righe dal lavoro sulla voce, che diventa sempre di più per i due artisti un surrogato degli altri strumenti e della realtà stessa. Il canto delle sirene in Buckley ricorda allora quello dadaista delle “talpe” e delle creature del mare che cambiando forma acquistano qualcosa di misteriosamente simile all’umano (“Sea song”, “Last straw”): questo canto per così dire “in primo piano” sarebbe dolce e confortante, se non fosse per quel continuo brulicare di voci di fondo, di declamazioni frenetiche, di ansimi di fatica. Ecco, fatica più che dolore è il concetto-chiave nei testi di Wyatt solista: più ancora che il “mestiere di vivere” pavesiano, il “lavoro” è un tema che ritorna da diversi punti di vista in una specie di scala che va dallo sforzo di tornare alla vita descritto in “Rock Bottom” alla realtà concreta della politica.
Impegnato in prima fila nelle attività del partito comunista inglese, Wyatt dal 1975 fino alla fine degli anni ’80 alterna l’impegno politico diretto con una produzione musicale ad esso collegata. “Nothing can stop us” del 1982 e “Old Rottenhat” del 1985 sono i dischi più politici di Wyatt, ma in essi la materia di propaganda è trattata con un approccio che è lontanissimo dal cantautorato acustico. L’abito sonoro di Wyatt è talmente compiuto nella sua espressività dolente da poter mettere insieme canti politici con standard jazz come “Round midnight” di Thelonious Monk e successi pop come “At last I am free” degli Chic. L’atmosfera d’insieme, anche quando i testi si fanno taglienti, è segnata da una compostezza dei toni che incrocia il desiderio di innocenza infantile (l’unisono acuto di voce e tastiere) con la malinconia adulta e spaventosamente dignitosa della citata “At last I am free”.
Un ritorno alla piena attività sonora di Wyatt si ha a partire dal 1995, con “Shleep”, disco che apre una terza fase della carriera dell’artista. “Shleep” e i successivi “Cuckooland” e “Comicopera” sono album molto più corposi e ricchi di materiale, anche grazie a molti collaboratori di prestigio come Eno, David Gilmour, Phil Manzanera, Paul Weller. Lo sguardo di Wyatt si è fatto in grado di conciliare l’amarezza politica con calmi quadri di vita familiare (testi scritti da Alfreda Benge); musicalmente la novità maggiore è il ritorno della chitarra e soprattutto dei fiati, con uno sguardo rivolto consapevolmente alle radici musicali di Wyatt, tanto il jazz quanto il pop orchestrale degli anni ’30-’40 ascoltato da ragazzo in famiglia.
Visionario astratto ma anche impareggiabile intimista della vita quotidiana, Wyatt ha ricreato letteralmente il jazz dimostrando la possibilità di collegarlo con la musica pop, come veicolo di emotività e di idee che vanno ben oltre la musica in senso stretto. La complessità vertiginosa di molte sue pagine è ottenuta con mezzi elementari, senza nessuna sovrastruttura concettuale o minimalista. Quella voce delicatissima spesso ricorda i toni di un bambino che legge filastrocche le quali in modo naturale possono prendere altre forme, declamazioni, inni, associazioni dadaiste di parole, cataloghi di assonanze. La parola si confonde e allo stesso tempo è sovrapposta al suono, ripetuta, deformata ma mai spezzata fino a perdere del tutto barlumi di una forma precisa.
Il cuore, il modo di vivere nel quotidiano, nella musica di Wyatt si esprimono cioè nel loro essere anche e soprattutto una serie di sensazioni “mentali” come i ricordi del passato o le diramazioni di una scena presente nel delirio, nella fantasticheria di universi paralleli; queste sono la vera ragion d’essere della dolcezza e della grazia della musica che ne segue.
da http://www.booksblog.it/post/4996/boris-vian-a-cinquantanni-dalla-sua-morte-la-francia-lo-celebra
Boris Vian, a cinquant'anni dalla sua morte la Francia lo celebra

pubblicato: lunedì 22 giugno 2009 da andrea in: news scrittori curiosità
Boris Vian è stato un autentico genio, uno di quei personaggi di limpida intelligenza e bruciante ironia, scrittore ecclettico della cerchia dei patafisici di Raymond Quenau e Georges Perec, trombettista jazz, cantautore geniale e irriverente (autore di canzoni simbolo come la bellissima Le deserteur e On est pa la pour se faire engueler, ma il cui destino beffardo fu di morire a soli 39 anni, in un modo degno di uno dei suoi personaggi.
La mattina del 23 giugno del 1959 Vian si trovava al cinema Marbeuf, stavano proiettando l’anteprima del film tratto da uno dei suoi romanzi più discussi, Sputerò sulle vostre tombe, un noir geniale, assolutamente da leggere, che tra l’altro gli costò denuncie e guai. Vian si era già lamentato della scarsa fedeltà della pellicola che sfalsava completamente il suo graffiante libro e dopo soli cinque minuti di proiezione iniziò a sbottare e venne stroncato da un infarto. Pare che le ultime parole siano state: “Questi tizi dovrebbero essere americani? col cazzo!!”.
Ora, a cinquant’anni dalla sua prematuro e beffarda morte, la Francia lo celebra con una serata alla storica Salle Pleyel, tra gli invitati anche Carla Bruni Sarkozy e Johnny Hallyday, personaggi che Vian, se fosse ancora tra noi, avrebbe certamente pungolato con la sua sferzante e irriverente ironia. In Italia, proprio in occasione di questo anniversario, la casa editrice Stampa Alternativa ha appena pubblicato “Musica e Dollaroni”, a cura di Gianfranco Salvatore, e un saggio di Vian che si scaglia contro l’industria della canzone.

martedì, giugno 16, 2009

da http://gricciardi.wordpress.com/2009/06/15/larte-tra-patafisica-e-quantica/ :

giovanni ricciardi - blog

L’arte è la natura stessa che insegna ad ”essere” con il suo silenzio.

C’è un tipo di arte che porta in se un linguaggio universale e multiversale e che pone nel nostro infinitamente piccolo definitivamente a termine qualsiasi strascico postmoderno, pop, e quanto altro indagato negli ultimi 20 anni; E’ quell’ arte che non si arresta alla rappresentazione dell’esperienza visiva ma ne fa smaterializzazione del proprio vissuto sia fisico che mentale, fino alla percezione interferenziale di esistenze e soluzioni possibili. Non voglio di certo riportare alla luce una visione interiore né emotiva-espressionista, né surreale, e mi piacerebbe anche porre fine alla definizione di “astratto” termine che a tutt’oggi, venendo meno il concetto stesso di realtà come “contenitore” non trova più alcun senso di esistere in quanto produttore di un grosso ossimoro. L’arte apre ogni giorno invece nuovi spazi a interferenze e luoghi presenti e possibili in una sovrapposizione infinita. Pone il quesito quantico dell’imprevedibile e del compiuto in se ( Hic et nunc). La riproduzione non è più possibile concepirla con lo stesso valore, essa va ripensata in altro, come unica combinazione improvvisa, così come lo è una pennellata mossa da quello che chiamiamo volontà o come forma inspiegabile. Il tutto, in quella possibilità realizzata da una stessa matrice la quale invece, resta ancora un affascinante mistero che si sovrappone a tal punto da divenire nube confusa.

g.r.

arte | quantica |ossimoro | pittura | arte domani | futuro dell’arte | patafisica | giovanni ricciardi

lunedì, giugno 15, 2009

Nell’esposizione il pittore grossetano (1964) ha presentato l’ultimo ciclo di lavori realizzati sul tema del movimento Futurista, di cui quest’anno cade il centenario dalla pubblicazione del manifesto programmatico (Le Figarò 20,02,1909).
Grosseto - dal 5 all'undici giugno 2009
Armando Orfeo - Sfuturismi. Omaggio al Futurismo Statico
CEDAV - CENTRO PER LE ARTI VISIVE

Via Giuseppe Mazzini 97 (58100)
patrocini: Fondazione Grosseto Cultura, Comune di Grosseto
telefono evento:
+39 3474277572







da http://www.vitadidonna.org/cultura/teatro/leben-di-marco-martinelli-al-teatro-india.html

Recensione

CHE FATICA ESSERE PATAFISICI!

E’ ormai evidente amici teatrizzati che la stagione teatrale invernale sia conclusa.

La noia mostra il suo volto cupo però che bel finale questo “Leben”.

Atemporalità, spazi dislocati, secoli intrecciati, sogni concatenati.

Personaggi dalle espressioni e dai volti grotteschi, con posture e gesti ironici e divertenti.

Luci sapientemente dirette da Vincent Longuemare nell’intrecciare e nel separare le storie, nell’unirle.

Interpretazione di alto livello per tutta la Compagnia del Teatro delle Albe, con una Montanari imperiosa nella sua Condolcezza, feroce e cattiva manager in gonnella con qualche difficoltà ai tacchi.

L’infaticabile Martinelli dirige con intelligenza e cura lo spettacolo ispirato a Scherz, Satire, Ironie, und Tiefere Bedeutung di C.D. Grabbe, drammaturgo tedesco del primo ottocento molto amato da Alfred Jarry teorizzatore della Patafisica (scienza delle soluzioni immaginarie, del particolare e delle leggi che governano le eccezioni), in cui un portiere di una multinazionale “Leben” (vivere) appunto sogna di essere un diavolo, che a sua volta sogna di essere catapultato sulla terra in pieno Ottocento.

Un diavolo proprio malcapitato che è costretto a soffrire il freddo e la cattiveria dell’umanità al cui confronto la sua diabolica fama rimane offuscata.

Costumi “primi novecento” per le ragazze prostitute, ripiegate in anguste valigie, prodotte dalla Leben; tonache grezze per i naturalisti dell’Ottocento, studiosi del diavolo, cui capita di vedersi vendere le rispettive, caste, fidanzate; tailleur distinti per la direttrice che critica Hitler e l’estetica e ama le canzonette.

Musiche raffinate LEBEEEN LEBEEEN LEBEEEN e pazzoidi: If you really love me a sbilanciare ed equilibrare quest’unione di malinconica ironia, di surreale atmosfera, di profonda sensibilità.

Ottocento. Duemilanove. Palco. Platea. Non ci sono più confini. La “Leben”, il Castello, il pubblico tutti impastati di questo Male.

Un legame tra gli spettatori, i teatranti, la storia di cui inscindibilmente fanno entrambi parte per un teatro, questo delle Albe, cantiere aperto e centro di produzione che si dedica anche a un’intensa attività pedagogica, ancora capace di ascoltare il “rumore” della vita.

Spettacolo con numerose contaminazioni: da quelle musicali (inni di guerra e melensi motivetti) a quelle sceniche; eterogeneo, pieno di vitalità istintiva che continuamente rilegge i testi della grande tradizione a caccia di collegamenti col presente per sovvertire il ciclo monotono del tempo.

Apriamo le finestre, indossiamo gli occhiali da sole, c’é aria di patafisica!

Con Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Cinzia Dezi, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Ermanna Montanari, Massimiliano Rassu, Laura Redaelli, Alessandro Renda, Mattia Riccardi

Regia di Marco Martinelli
Teatro India - Giovedì 14 maggio 2009

Stefano Maria Palmitessa e Francesca Barreca

giovedì, maggio 07, 2009

FUORISERIE

di Victorina


dio come la mente si sfilaccia

a passeggio tra me

nelle vie di un labirinto

otto carciofi due carabinieri

un ciondolo un incontro

porte nel viso tutto è uguale

desiderio di morte o di una gonna (blu)


dio come mi dissolvo

in cento pezzi

di dura inconsistenza

e che peccato

che abbian chiuso i manicomi

almeno avrei dove sentirmi a casa


dio chi cazzo sei

e dove ci porti

ma come ti permetti

di atterrirmi

coi tuoi giochetti sadici di specchi


dio mio mio dio che non sei mio

rendimi la realtà

che non si cambia

rendimi la mia morte

sempre eterna

rendimi i miei bei sogni di corallo


( è una bella seccatura ai tempi di oggi

nutrire passioni

meglio lasciarle morire di fame

abbandonate come fantocci antichi

di madreperla e stracci )


sabato, aprile 25, 2009

PK: Peter Kolosimo, sognatore patafisico di Massimo Pietroselli

Se vi piace sognare, sognate.
Polvere d'inferno

Dobbiamo immaginare, poichè la Storia in questo tace, degli uomini a cena. Studiosi di archeologia, di misteri ancestrali, esperti d'esoterismo, accaniti divorati di documenti dimenticati dalle scienze ufficiali (almeno, a loro dire), allineatori di impossibilità e comparatori di mitologie, stanno commentando un passo del tecnografo groenlandese Knud Rasmussen relativo a certe leggende eschimesi. Intorno a loro, riproduzioni di statuette bizzarre che sembrano opera da un Karel Thole maya, etrusco o atlantideo, proiettano sulle pareti ombre lunghe.
" Gli uomini non conoscevano il sole. Vivevano nell'oscurità, il giorno non sorgeva mai. Soltanto nelle case avevano la luce. Bruciavano acqua nelle loro lampade, perchè a quel tempo l'acqua poteva bruciare. Ma la gente, che non sapeva come morire, diventava troppa: aveva sovraffollato la Terra, e allora venne un grande diluvio. Molti annegarono, e allora vi fu meno gente. Sulle cime delle montagne, dove spesso noi troviamo mitili, vediamo le tracce di questo diluvio."
Uno dei commensali è Robert Charroux, esploratore e archeologo dalle idee piuttosto anticonvenzionali. Con un buon sorriso, sempre a metà tra realtà e sogno scientifico, commenta:
— Supponiamo di essere a bordo di un'astronave lanciata nello spazio. Il giorno, fuori, non sorgerebbe mai, solo nella nostra "casa" avremmo la luce. E il combustibile? Nell'idea di un primitivo potrebbe essere soltanto "acqua che brucia".
— Ma questa è pura science fiction! — replica uno.
— Sicuro — ribatte il sorridente Charroux. — Ma provate voi a trovare un'altra versione.
Peter Kolosimo (1922-1984) riporta queste memorie nel suo Fiori di Luna. Ecco il suo commento alle parole di Charroux: "Non la trovammo, e ad ognuno di noi non rimase che fantasticare su remotissimi ricordi di viaggi spaziali giunti agli eschimesi, ovviamente deformati, attraverso chissà quante generazioni."
Fu davvero un grande sognatore, Peter Kolosimo. Come Don Chisciotte, si costruì nel corso degli anni una biblioteca assolutamente sui generis e plasmò con logica inverosimiglianza teorie di fantarcheologia di cui rivestì il nostro lacunoso passato e che espose in best-sellers mondiali. Ebbe legioni di imitatori più o meno sinceri, spesso interessati solo a sfruttare la strada milionaria tracciata dal nostro prototipo di investigatore dell'impossibile. Non è scopo di questo articolo indagare sulla sincerità di Kolosimo né sulla validità delle sue proposte, ma i suoi libri trasudano passione e amore per il mistero, per la favola, per la fantascienza, per l'avventura: in una parola che le condensa tutte, per il sogno. Fu un Jules Verne che decise di scrivere saggi invece che romanzi, e i suoi libri ci paiono difatti, in ultima analisi, romanzi in forma di saggio. E in quest'ottica costituiscono una lettura divertente, interessante, persino entusiasmante. E', come al solito, una pura faccenda di sospensione dell'incredulità o della giusta chiave di lettura...

venerdì, aprile 10, 2009

LE ECCEZIONI
André Breton, 1934
Il marchese de Sade ha riguadagnato le interiora del vulcano in eruzione
da dove era venuto
con le sue belle mani ancora a frange
i suoi occhi da donzella
e questa ragione a fior di si salvi chi può che non fu
altro che sua
Ma dal salone fluorescente a lampade di viscere
non ha smesso di lanciare gli ordini misteriosi
che aprono una breccia nella notte morale
è attraverso questa breccia che vedo
le grandi ombre scricchiolanti la vecchia corteccia minata
dissolversi
nel permettermi di amarti
come il primo uomo ha amato la prima donna
in tutta libertà
quella libertà
per la quale lo stesso fuoco si è fatto uomo
per la quale il Marchese de Sade sfidò i secoli
con i suoi grandi alberi astratti
di acrobati tragici
aggrappati ai fili di ragnatela del desiderio.

WANTED numero 15 gennaio 1999, Illustrazione all'articolo di Victor Joseph
VICTOR JOSEPH PER I PATAFISICI

La patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie inoltre Tutto è possibile (Alfred Jarry)

Gli scrittori patafisici hanno trasmesso con la loro libera immaginazione un impulso gigante alla tendenza sempre in atto di demistificazione del linguaggio classico, accademico, burocratico, romantico ecc. usando i mezzi della scomposizione e assemblaggio di parole e frasi, associazioni disconnesse dagli schemi, giochi di linguaggio, liste dell'assurdo e così via.
Nella seconda metà del milleottocento i calligrammi francesi e i nonsense inglesi avevano dato voce a un desiderio di revisione della tecnocrazia letteraria imperante, rappresentata da eccelsi scrittori di regime.
La forte spinta eversiva dei rinnovatori come sempre veniva adocchiata, catturata e reimpostata dai politici del positivismo storico; così si spiegano tutte le false credenze circa l'interventismo del 1914 dei movimenti di avanguardia culturale e politica.
Ma la patafisica si interessa alle eccezioni e attraverso queste si rinnova.
Muore Jarry nel 1907; muore G.Kahn, inventore del verso libero, "colui che viaggia in palazzo", muore Paul Gauguin, "fondatore dell'arte accademica tahitiana", muore Jules renard, "colui che scortica" (Alfred Jarry), ecc.ecc.
Nascono, o rinascono, a seconda dei punti di vista, Queneau, Boris Vian, Max Ernst e altri che danno vita a circoli patafisici negli anni '50.
Nel caldo etilico della tana esistenzialista rinascono le parole scambiate, la trama dei sogni, lo sberleffo ai potenti, la sessualità informale, l'odore delle frasi e ciò di cui non si può parlare:

"Suono, luce, vibrazione e forma si fondono e si uniscono: il lavoro è uno. Procede secondo la legge e nulla può fermarlo. L'uomo respira profondamente. Concentra le forze, ed emette la forma pensiero. 1951 A TREATISE ON WHITE MAGIC Alice A.Bailey"

Le parole, come i suoni, come le idee sono enti autonomi;
il suono manifesta l'esistenza, la parola dirige la volontà, l'idea è il bersaglio.
La compenetrazione degli opposti genera il cambiamento.
Le idee corrono veloci sopra il flusso della storia, coloro che ci allevano le catturano e le usano come fruste per dirigere le masse, come mandriani.
Alcune idee corrono troppo veloci e non vengono catturate, ma si spingono troppo più avanti, perdendo così il contatto con la madria.
La scienza patafisica ha seguito un'accelerazione progressiva che la porta parallela puntuale centrata allo scoccare del terzo millennio.
Con tanti baci
Victor Joseph (1909 - 2016)

domenica, febbraio 15, 2009

Il ladro di biciclette e il debitore patafisico

L’infelice Jarry avrà mai avuto un momento di felicità nella sua vita? Non è dato saperlo, anche se davvero sembra felice in una famosa fotografia del 1898 (riprodotta in copertina) nella quale è ritratto in sella a una bicicletta sportiva, nel paese di Corbeil, a sud di Parigi, dove trascorse alcuni periodi estivi assieme ad amici. Nella foto la felicità è discreta, celata da un volto indifferente, ma è presente, si palpa. E la causa non sembra tanto il luogo in cui egli si trova quanto la bicicletta che inforca: una Clément de luxe 96 course sur piste, del valore al nuovo di 525 franchi. Jarry la inforca con delizia per varie ragioni: perché ama la bicicletta in sé, come miracolo meccanico, come oggetto che gli permette di muoversi, ma anche perché gli è costata pochi franchi.
Per lei ha continuato a rinnovare cambiali, con progressivo aumento degli interessi, ma senza mai saldare il conto. Una bicicletta che è all’origine della maggiore vertenza giudiziaria della sua vita. Tutto comincia a Laval, cittadina nativa di Jarry alle porte della Bretagna, e precisamente al numero 12 del viale Jean-Fouquet, dove s’illuminano le ampie vetrine di “Trochon-Vélo”, negozio di macchine da cucire e biciclette. Un abbinamento che indica come a quei tempi fosse l’analogia meccanica – e non funzionale – ad accostare gli oggetti.Il negozio è gestito da un buon uomo, il signor Jules Trochon, figura anonima, tranquilla, che non lascia storia e che sembra aver avuto una sola grande sfortuna: incontrare sul suo percorso Jarry. La storia della bicicletta inizia il 30 novembre 1896, esattamente dieci giorni prima che Ubu Re vada in scena a Parigi e che Jarry aggredisca il pubblico col famoso «merdre!». Quel giorno egli entra da “Trochon-Vélo” con l’idea precisa di uscirne dotato di una bicicletta bella, anzi bellissima. In quegli anni una comune bicicletta si acquistava con 100 franchi, e invece Jarry sceglie la Clément de luxe, il meglio che il mercato offra: un oggetto dal telaio leggero, con ruote sportive e manubrio da corsa, senza parafanghi e luminarie, del costo di 525 franchi.
Entra nel negozio, s’innamora di quel miracolo meccanico e se lo porta sulla strada senza aver pagato nulla. Ha solo firmato alcune cambiali. Ma non basta: alla bici manca secondo lui quel particolare che la può rendere splendida: i cerchioni in legno. E così tre mesi dopo, nel febbraio 1897, entra di nuovo da “Trochon-Vélo” e si compera due cerchioni in legno del valore di 20 franchi. Più che comperarseli, se li porta a casa, perché anche questa volta non paga e firma una cambiale. Sta di fatto che li monta al posto dei cerchioni originali e rende così la “sua” bicicletta ancor più bella.





Ladro di biciclette - Cent’anni di Alfred Jarry di Antonio Castronuovo


Collana Di Antonio Castronuovo. 27 Gennaio 2009

da http://www.stampalternativa.it/wordpress/2009/01/27/il-ladro-di-biciclette-e-il-debitore-patafisico/

venerdì, febbraio 13, 2009

Renzo Francabandera, 10 febbraio 2009, 11:53

Teatro Al Piccolo Teatro "Sulla strada ancora" un happening che mescola la realtà con l'immaginazione: monologhi, poesie, barzellette nella cronaca fantastica della caduta e della risurrezione di uno degli artisti italiani più amati, protagonista di un'epoca della satira italiana. Che ancora dura: l'artista (se dio vuole) e anche l'epoca (purtroppo)
Che stupide le parole della coronaca o del ricordo quando si deve dire di uno spettacolo che mescola il personale al teatrale. Questo viene in mente dovendo dire due cose sullo spettacolo di Paolo Rossi al Piccolo di Milano (regia di Renato Sarti), che prende spunto dalla storia di un suo lavoro mai andato in scena, Ubu Re d'Italia.
Per debolezza. O crisi personale. Per la stessa ragione del viaggio: viaggiare.

E per quella stessa ragione trovare la forza di issare le vele e riprendere il mare, o la strada, per scegliere la metafora che l'artista ha scelto per parlare di questa che, a sentire gli eventi che hanno portato a questo spettacolo, potrebbe essere la cronistoria un po' tremolante e balzana della sua seconda vita.

Se mai esistesse un'Itaca dell'arte, alcuni anni fa Rossi, dopo aver vagato nel mare libero della scena e della tv, incrociando la sua strada con Strehler, Fo, Jannacci, Gaber, ci si era avvicinato.Poi, stando a quanto racconta della sua messa in scena abortita, l'otre dei venti si è aperta, rispedendolo in altissimo mare, dove le intenzioni si confondevano alle voci di sirena, d'uomo, di donna, a volte di trans!

Le difficoltà di superare le sue fragilità, la crisi artistica conseguente e l'impossibilità di riuscire. Da questo parte il racconto, che lambisce scogli di Shakespeare ed echi di Gaber, che rilegge Jarry e ricorda, dopo gli applausi, Gianni Palladino e con lui le presenze a volte meno appariscenti ma cruciali nel viaggio di ognuno.

La permanenza di Paolo Rossi nello spazio della Scatola Magica del Teatro Strehler fino al 22 di febbraio è stato accolta con grandissimo entusiasmo da un pubblico che lo ama molto, non solo come artista ma anche come interprete di un disagio e di uno smarrimento che è il nostro. Tutte le sere tutto esaurito. E una replica straordinaria il 30 marzo prossimo nella sala grande dello Strehler. Per ritrovare non un altro, ma quello stesso di prima, quello che allude e lascia che la battuta ti si sciolga in testa come un gianduiotto in bocca. Il dolce e l'amaro.

Quello a metà fra poetica e politica, quello che si trova nell'assurdo della vita a cercare di non spiegarlo. E cos'altro è questo, se non proprio uno straordinario esercizio di patafisica, "la scienza delle soluzioni immaginarie e delle leggi che regolano le eccezioni" come la definì lo stesso Jarry, la pratica delle eccezioni rispetto alle teorie: l'eccezione che conferma la regola o che la manda, con un sorriso, a fanculo.

Come per Jarry, così anche per Rossi la prassi scenica è una maniera personale ed anarchica per spiegare l'assurdità dell'esistenza.

E quindi questo riavvicinamento all'Itaca dell'arte per altra via, per altra strada, di un Rossi uguale a prima ma anche più consapevole della debolezza che è racchiusa nell'esercizio della forza e della forza che può nacere dall'indagine sulla debolezza, porta l'artista a perdere, con più tranquillità, di vista la meta per cercare se stesso nel percorso, nella via, nella strada.

Per la stessa ragione del viaggio: viaggiare.

Jarry: l'incantesimo forsennato
Dal videoteatro al multimediale, il genio che ha rivoluzionato la scena

alfonso amendola

Un nome con costanza attraversa l'universo performativo: Alfred Jarry. Ed anche lo spazio del videoteatro vive rievocando, citando ed omaggiando il grande francese.

Dalle video-azioni multimediali di Surveillance Camera Players (dal forte sapore situazionista) ai lavori di videoscena di Enzo Mirone ai cultori delle azioni patafisiche, senza dimenticare che una rara "apparizione" teatrale di Jean Baudrillard era nel recente Ubu Roy di Giancarlo Cauteruccio (dove trovavamo il "teorico della seduzione" perduto in un segno audiovisivo che guidava la scena con un suo ennesimo diktat: "il principio è quello di esagerare, è in questo modo che la realtà viene demolita"). L'occasione per noi è fondamentale per ricordarlo questo grande "demolitore". Altro grande magister che ha anticipato la nostra contemporaneità ed i flussi del tempo futuro. Ci sono alcune fotografie (tanto rare quanto preziose) che ritraggono Alfred Jarry in bicicletta. Mi piace immaginare il "re" della patafisica a bordo della sua cyclette mentre si perde e si ritrova per strade, stradine, calli, quartieri e rioni di Parigi (della sua Parigi). E mi piace una sorta di "fondazione del pensiero patafisico" di Jarry (del suo teatro gioiosamente ribelle, del suo immenso sorriso da maschera e del suo profanare il vero con un ennesimo assalto visionario) proprio negli attraversamenti sulle due ruote di una bicicletta (un mezzo che sarà caro in diversi stilemi ed utilizzi creativi a Marcel Duchamp, Samuel Beckett, John Cage giusto per dare qualche nome e giusto per sprigionare ulteriori orizzonti visionari).

Alfred Jarry (Laval 1873- Parigi 1907) con la sua trilogia dedicata al violento e parodistico Ubu (Ubu Roi, 1896, Ubu enchainé, 1900 e Ubu cocu pubblicata postuma nel 1944) realizza una delle maggiori operazioni di radicale rinnovamento della scena teatrale dalla prorompente matrice antirealistica, voracemente simbolista e spietatamente grottesca che, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, saranno alla base dei successivi procedere del surrealismo, del futurismo e di tantissimi autori della grande Avanguardia (Antonin Artaud su tutti, che nel 1926 fonderà il Teatro Alfred Jarry, per poi continuare con Vitrac, De Chirico fino ad arrivare a Dario Fo e molti altri). E così questo solitario ed immaginifico visionario, cresciuto nel versificare di Rimbaud, Mallarmé e Apollinaire, ancor oggi ci indica un irriverente viatico per avvicinare, assaltare e reinventarla in blocco la scena teatrale, videoteatrale e multimediale. In Jarry una giocosa blasfemia (il suo primo lavoro teatrale del 1895 è César Antéchrist) ed una potente visionarietà della patafisica "ovvero la scienza delle soluzioni immaginarie" (Etre et Vivre del 1894 e Gestes et opinions du docteur Faustroll, pataphysicien, postumo 1911) perfettamente si fondono attraverso una scrittura (che sappiamo anche essere dimensione esistenziale) voluttuosa, immensamente plastica, linguisticamente inventiva e trionfante. Una scrittura, inoltre, che ha dentro di sé un senso del ritmo e del montaggio che sembra di gran lunga anticipare le tensioni letterarie mediali e cinematografiche (si veda almeno la raccolta di scritti giornalistici Speculations, anche questa pubblicata postuma nel 1911).

La "visione divergente" della patafisica teorizzata e praticata da Jarry non è soltanto un'estrosa provocazione fine a se stessa, ma è un vero e proprio assalto al mondo e alle cose. Un assalto compiuto con allegro ritualismo tribale e carnale desiderio di rinascita delle forme dell'agire scenico. Precipizio del naturale.

Tensione del divenire a matrice corale.

Astrazione del movimento.

Moltiplicazioni degli spazi e fuoriuscite sceniche.

Sono questi i diktat più cari all'invenzione patafisica di Jarry il cui "tratto più geniale – ha scritto lo storico delle Avanguardie Henry Béhar- consiste nell'aver compreso, innanzitutto che solo l'opera granguignolesca, generata da bambini insolenti, poteva risolvere l'antagonismo delle estetiche drammatiche elaborate dal naturalismo e dal simbolismo".

E quindi seguiamolo questo maestro solitario che ha voluto inventare una "nuova scena" piena di bambini, maschere, indolenze, ellissi e dove compaiono una miriade di esplosivi "forcenés" lanciati nella pienezza di un urlo collettivo. Perché (come ogni vero patafisico sa) ogni singolo attimo della nostra esistenza deve essere intenso e di "straordinario" incantesimo forsennato.


del 12-02-2009 num. 028


venerdì, gennaio 23, 2009



Due opere in prima mondiale a febbraio, Faust-bal e Picknick im Felde. Scritte da due compositori - il catalano Leonardo Balada e il greco-cipriota Constantinos Stylianou - appartenenti a generazioni diverse (il primo è nato nel 1933, il secondo nel 1972) ma accumunati da ideali pacifisti e di libertà. Entrambe basate su testi di Fernando Arrabal, scrittore dissacratorio, prolifico autore di romanzi, poesie, pièces teatrali, regista di cinema, insignito del titolo di "Trascendente Satrapo" del Collegio di Patafisica.


La Patafisica, si sa, è la scienza delle soluzioni immaginarie, che si prefigge di studiare le leggi che reggono le eccezioni e di spiegare l'universo supplementare al nostro. Il suo fondatore è il Dottor Faustroll, protagonista del celebre romanzo "neoscientifico" di Alfred Jarry (del 1911), moderno negromante, ibrido tra il Faust goethiano e un Troll, capostipite di tutti gli scienziati pazzi del Novecento. Nell'opera di Balada e Arrabal la protagonista è invece Faust-bal, che è una reincarnazione femminile di Faustroll, donna avvenente, con qualità intellettuali superiori, simbolo della bontà in un mondo dominato dalla violenza, legata ad un'amazzone, devastata da un'insaziabile curiosità scientifica che la porta a viaggiare tra le galassie e ad affrontare, in un'epica sfida tra il bene e il male, il capo supremo delle forze armate spaziali, il feroce Margarito (alter ego della Margherita goethiana), che però si innamora di lei e tenta di possederla.


L'opera di Stylianou si basa sull'omonima pièce teatrale di Arrabal Picnic in campagna, esempio di teatro dell'assurdo e di impegno pacifista: il protagonista è il soldato Zapo, che si trova da solo in un avamposto al fronte, quando improvvisamente spuntano i suoi genitori che, ignorando completamente i sibili delle pallottole intorno a loro, organizzano un allegro picnic. E quando appare Zépo, un soldato nemico, invece di essere aggredito e catturato, viene invitato al picnic dove nasce un'animata discussione su come si possano evitare le guerre in futuro.


La concezione musicale delle due opere si presenta piuttosto diversa. Leonardo Balada, che vive a New York (dove si ha studiato alla Julliard School ed è stato allievo di Vincent Persichetti e Aaron Copland), ha sviluppato negli ultimi tempi un linguaggio musicale eclettico e postmoderno, che ama mescolare elementi tonali e atonali, sempre incline ai processi musicali ritmicamente incalzanti e a una brillante scrittura orchestrale (come testimoniano i suoi molti lavori incisi dalla Naxos, ad esempio Guernica, le Sinfonie nn. 4 e 5, i concerti per violino, per violoncello, per pianoforte, per chitarra). La partitura di Faust-bal gioca sul contrasto di stili, con una chiaro gusto per la dimensione grottesca, una scrittura vocale apertamente lirica, un'orchestrazione espressionistica, spigolosa, con alcune pennellate elettroacustiche, ma priva degli elementi folkloristici che caratterizzavano le sue opere precedenti (come Hangman, Hangman!, Zapata, Cristoforo Colombo, María Sabina). Constantinos Stylianou, che vive a Londra (ha compiuto i suoi studi al Royal College e alla Royal Holloway University), nel comporre Picknick im Felde ha invece incentrato la sua attenzione sulla voce umana, esplorandone tutte le possibilità, dal parlato alle ampie arcate liriche, condensando l'azione musicale e i dialoghi, usando l'orchestra da camera per sottolineare il contenuto espressivo del testo.


Faust-bal debutterà il 13 febbraio al Teatro Real di Madrid (nel quadro della stagione sul tema delle "Tentazioni"): sarà diretta da Jesús López Cobos, con la regia di Joan Font, le scene di Joan Guillén, le coreografie di Xevi Dorca, un cast formato da Ana Ibarra (Faust-bal), Cecilia Díaz (Amazon), Gerhard Siegel (Margarito), Tomas Tomasson (Mefistofele), Stefano Palatchi (Dio).


Picknick im Felde andrà invece in scena al Landestheater di Linz il 20 febbraio, in un allestimento firmato da Tobias Ribitzki, con le scene di Florian Angerer. Sul podio ci sarà Ingo Ingensand, sul palcoscenico Christian Zenker (Zapo), Iurie Ciobanu (Zépo), Cheryl Lichter (la madre di Zapo), Franz Binder (suo padre). Gianluigi Mattietti

giovedì, gennaio 22, 2009




Gianna Carrano Sunè. Siamo tutti appesi a un filo19/02/09 > 06/03/09 - Milano




“Siamo tutti appesi a un filo” sviluppa il tema dell’equilibrio e il concetto del bilico visualizzando soggetti acrobaticamente in sospeso, alla ricerca di una possibile stabilità sull’orlo di una dimensione sconosciuta. Le fotografie, in bianco e nero, hanno l’unica nota di colore nel filo rosso (che rappresenta il “focus” nello sguardo dello spettatore) inserito direttamente nel quadro con un tubo luminoso di wirelux. Il progetto-luce, evidenzia con forza luminosità e ombre dello spazio espositivo per dividerne i volumi e sottolineare, rafforzandole, nuove emozioni. Il progetto musicale, in collaborazione con SkyRec sound-design, utilizza l’alta tecnologia a ultrasuoni per rievocare attraverso voci, parole, vibrazioni e rumori gli elementi di uno spazio sonoro. I soggetti delle fotografie, sono persone che hanno accettato di partecipare al progetto rappresentando il loro atteggiamento nelle situazioni di instabilità verso l’ignoto dando, così, un significato più profondo al lavoro dell’artista.
La mostra ha il patrocinio del Comune di Milano e di Kilometrorosso, il parco scientifico e tecnologico progettato da Jean Nouvel.


Gianna Carrano Sunè vive e lavora a Milano.


(1994 - partecipa con il racconto ‘La scatola alla ricerca del suo contenuto’, alla manifestazione “Chandelle verte “ sulle arti patafisiche organizzata da 8 gallerie d’arte di via Maroncelli, a Milano. Nell’occasione, realizza una scultura nello spirito della Patafisica per rappresentare visivamente il racconto, avvalendosi del commento orale di Alessandro Bergonzoni.)




Gianna Carrano Sunè. Siamo tutti appesi a un filo


Inaugurazione: giovedì 19 Febbraio, dalle ore 18.00


Periodo: 19 Febbraio - 6 Marzo 2009


Casa dell’energiaVia Verga 22/3 angolo Piazza Po, Milano


Orari: da lunedì al venerdì 9.00-17.00


Ingresso libero


tel. 0277203442
UFFICIO STAMPA Eleonora Tarantino Press & Media (tel. 335/6926106)


'La biblioteca di Babele', personale pittorica di Carlo Battisti
24/01/2009
La Spezia. Sabato 24 gennaio 2009 alle 18.00 inaugura presso la galleria d'arte contemporanea Il Gabbiano La biblioteca di Babele, personale pittorica di Carlo Battisti.L'esposizione consiste in venticinque lavori di cm 34 x 34 tratti dall'omonimo racconto di Jorge Luis Borges.La mostra avrà luogo fino al 26 febbraio 2009.Note sull'autoreNato a Viareggio nel 1945, Carlo Battisti consegue il diploma di scultura presso l'Istituto d'Arte di Pietrasanta e di scenografia all'Accademia di Firenze. Vanta un nutrito curriculum con esposizioni in Italia, Germania e Francia:tra le altre, la Biennale di Parigi presso il Centre National d'Art Contemporain nel 1973, la personale di installazioni sonore alla Sala Brunelleschi di Firenze nel 1987, la Rassegna dell'Arte Patafisica Europea a Brescia nel 2005 e le mostre, gli eventi e le pubblicazioni dell associazione culturale BAU di Viareggio.

Orari di aperturaDa martedì a sabato ore 17.00 - 20.00Chiuso domenica, lunedì e festivi.Ingresso libero.Per informazioniGalleria IL GABBIANO arte contemporaneavia don Minzoni 53 Tel. 0187 733000 / 333 8299027

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