lunedì, ottobre 25, 2010

PATArubrica N.7 - ‘PataKoan: Elementi di 'Patafisica avanzata



PATArubrica N.7 - ‘PataKoan: Elementi di 'Patafisica avanzata
Di: Giovanni Ricciardi
Data: 20.10.2010
Argomento: Arte


"Se intraprendete lo studio di un koan e vi ci dedicate senza interrompervi, scompariranno i vostri pensieri e svaniranno i bisogni dell'io. Un abisso privo di fondo vi si aprirà davanti e nessun appiglio sarà a portata della vostra mano e su nessun appoggio si potrà posare il vostro piede. La morte vi è di fronte mentre il vostro cuore è incendiato. Allora, improvvisamente sarete una sola cosa con il koan e il corpo-mente si separerà. Tutto ciò, è vedere la propria natura."[1] del Maestro Zen Hakuin, Orategama.

Ma come? Nel titolo si parlava di ‘patakoan e qui si parla di Zen? Degli antichissimi Koan! Ma che confusione!
Tutto normale, la confusione è una peculiarità appartenente all’essere umano. Merdre! Bene, sia chiaro fin dall’inizio che chiamarli Koan o ‘Patakoan non fa nessuna differenza. Tutto questo, rimane infatti per noi, una applicazione Patafisica inconsapevole sviluppata da Hakunin Ekaku, monaco Buddista giapponese nel 1700.
Cina, Giappone, per la grande tradizione Zen, i Koan sono quesiti assurdi, immaginati e costruiti per indurre il discepolo a percepire nel modo più diretto i limiti della logica, della dialettica e soprattutto del ragionamento.
I Koan vengono immaginati tra un maestro e il suo discepolo al quale viene rivelata la natura ultima della realtà. Eppure, l'utilizzo della pratica del koan appare in modo sporadico già nel IX secolo in Cina. Con il diffondersi di questa pratica, nei monasteri chán si iniziarono a raccogliere i koan all'interno di opere e raccolte.

Uno dei koan più famosi è quello dell’oca la quale, ancora uovo viene sistemato in una bottiglia, l’uovo si rompe, l’oca cresce e nel koan si chiede: "Come si fa a far uscire l’oca dalla bottiglia, senza uccidere l’oca e senza rompere la bottiglia ?". Qui parte l’effetto estraniante, poiché la mente umana inizia un’attività del tutto assurda, cerca di unire significati, possibilità, si rende conto delle impossibili soluzioni. Eppure, nonostante ci si renda conto istantaneamente dell’impossibilità della situazione non ci si arrende, la mente continua pensando che una soluzione ci debba assolutamente essere altrimenti il quesito non si porrebbe. Ma un Koan non ha soluzione, poiché crea un circolo continuo tra l’impossibile e il probabile.
Ritornando alla questione dell’oca, una soluzione ci sarebbe. Anche qui la mente umana è riuscita a darsi una risposta per lo meno plausibile. La risposta possibile è che: l’oca è fuori. Per anni il monaco zen si è chiesto come far uscire l’oca dalla bottiglia e la risposta è che l’oca è già fuori. Eppure il Koan era stato creato per creare l’impossibilità della situazione, un moto perpetuo della mente che ripensa se stesso all’infinito. Ma anche qui la mente umana ha creato una via di fuga. È facile quanto fuorviante etichettare tutto ciò semplicemente come un’assurdità, come un gioco assurdo. In più ci fa notare sagacemente Fabrizio Ponzetta [2]:

"In realtà il segreto della vita è celato in questo koan e nella sua risposta più famosa. Se onestamente si prova a rispondere al koan, orientando la propria mente alla sua soluzione, anche solo per cinque minuti consecutivi, ci si ritrova con le spalle al muro, faccia a faccia con l’incapacità di risolvere un quesito in apparenza semplice. La mente si concentra e non trova risposta. Questo koan diventa temporaneamente la sua occupazione, la sua ricerca, la sua vita, la sua realtà...in gergo: una fissazione.
Non è solo un nonsense. È far uscire la mente da una realtà fittizia, poco importa se creata appositamente. L’oca è già fuori, e tu sei impegnato a trovare un modo per farla uscire. È una metafora vivente: mentre si è impegnati a risolvere con la mente un quesito della mente, la risposta è che il quesito stesso non ha motivo di esistere
".

Proponiamo adesso i successivi esercizi i quali sono prossimi allo spirito dei Koan per questo vengono chiamati ‘Patakoan. [3] Sono rompicapi presentati sotto forma di brevi storie e paradossi, oppure sotto forma di dialoghi. Questioni poste sul fatto che per la mente umana a volte il quesito stesso è più importante o esistente del problema in sé.
Questo è soprattutto l’esempio di come l’uomo crei delle sovrastrutture ad ogni forma di pensiero ponendo plurime e continue forme di signicanti ad ogni significato. L’ontologia addirittura non sarebbe che un embrione di finzioni tra le altre e specificatamente del particolare il quale sprigiona infiniti significanti.
A questo punto, qui nasce il quesito di cosa sia stato creato per prima, se l’oggetto o la sua funzione. (che è molto peggio della questione dell’uovo e della gallina). Se per un esempio banale, un cancello sia stato ai suoi albori la concretizzazione di un pensiero, del separare o viceversa, se cioè una barriera già esistente abbia creato il pensiero di un cancello, di una separazione possibile.

I patakoans con le loro eccezioni si occupano di forzare e fare apparire il cerchio che racchiude l’imbarazzo, le difficoltà racchiuse nelle interrogazioni suggerite. Sperimentazioni ideologiche, inventario di proposte, non pretendono verso alcuno progresso, e ad alcuna sintesi dialettica. La circolarità è evidente, l’impasse diventa perpetuo. L’inutilità apparente è la stessa dei grossi quesiti dell’esistenza.

PATAKOAN

1
Che nulla entri qui se pretende avanzare!
Dämon Sir, De la liberté du 'pataphysicien. (della libertà del ‘patafisico)

2
Che cos’è la ‘Patafisica?
- E’ questo.

3
- Che cos’è la patafisica?
- Che cosa non è la patafisica?

4
Qual è il dovere di un ‘patafisico?
- Essere distaccato da ogni dovere.

5
- Come raggiungere la leggerezza patafisica?
- Non avendo legami che vi incatenino
- E quali sono i legami che ci incatenano?
- Il desiderio e l’attesa di una leggerezza patafisica!

6
Sono entrato nella ‘patafisica lasciandomi fuori...

7
Un bambino prega suo padre di condurlo al museo: Portami a vedere il museo!
Una volta lì scopre i primitivi, la scuola italiana, i Fiamminghi. Rimane estasiato davanti le incisioni del Dürer.
Alla fine della visita domanda: "Abbiamo visto tutti i quadri, siamo entrati in tutte le sale, ma il museo di cui tutti parlano, dov’è ?"

8
Dialogo del saggio Taoista e del ‘patafilosofo.
A: - Pretendere di uscire dall’essere, non porta che a ritrovarsi nel vuoto.
B: - Pretendere di trovarsi nel vuoto, è mettere le mani sull’essere.

9
All’alba, Romeo lascia Giulietta dopo una nuova note d’amore.
Cammina per la città visibilmente angosciato e turbato.
In una piazza di Verona incontra Mercurio.
Che lo deride sulla sua defaiance notturna
R- Ti sbagli amico mio, lo interrompe Romeo.
M- ?
R- ...più la prendo, meno la posseggo.

10
...l'amore è cieco,
Dio è amore,
Ray Charles è cieco
quindi Ray Charles...è Dio!

Con questo ultimo Patakoan messo insieme da Vinicio Capossela vi salutiamo, invitandovi volentieri a mettere insieme i vostri patakoan e ad inserirli qui attraverso i commenti di questa Patarubrica.

Faustrollicamente vostro.

Note:
1. Hakuin, Orategama
2. Storia e storie di un'eresia chiamata Zen. Fabrizio Ponzetta - Jubal Editore
3. 'Koan Pata, Paradossi 'patafisici di Adonis Colgue.



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"Il viaggiatore onirico, uno spettacolo jazz" di Emanuele Conte

FONTE 
il-viaggiatore-onirico 23/10/2010
GENOVA - “Il viaggiatore onirico – uno spettacolo jazz” di Emanuele Conte tratto da un romanzo di Boris Vian (dal 28 ottobre al 6 novembre). La Tosse inaugura la nuova stagione con Boris Vian. Da giovedì 28 ottobre a sabato 6 novembre, ore 21.00 (domenica 31 ottobre, ore 18.30), Teatro della Tosse.
Un progetto del Teatro della Tosse per il Festival della Scienza 2010 è Il viaggiatore Onirico, uno spettacolo jazz. Molto ma molto liberamente tratto da AUTUNNO A PECHINO di Boris Vian, regia di Emanuele Conte, musiche di Dado Moroni, videopriezioni e animazioni di Gregorio Giannotta, scena di Luigi Ferrando, costumi di Bruno Cereseto, luci e suoni Tiziano Scali, assistente alla regia Gianni Masella.
Il viaggiatore onirico è una coproduzione tra il Teatro della Tosse e il Festival della Scienza, che da fin dalla prima edizione collaborano insieme con crescente successo.
Il viaggiatore onirico di Conte è un lavoro, che ragiona sulla dimensione del sogno e sulle dinamiche della comunicazione inconscia. I mezzi di trasporto reali sono un’allegoria per analizzare i punti di contatto visibili e invisibili tra sogno e realtà, mantenendo intatta la potenza eversiva delle opere di Vian.
L’impatto visivo dello spettacolo è molto forte, e catapulta lo spettatore in una realtà bidimensionale in bianco e nero, grazie all’uso di proiezioni video e all’interazione tra attore e disegni animati.
I postromantici e bizzarri protagonisti di questa storia, interpretati da Enrico Campanati, Pietro Fabbri, Silvia Bottini, Alberto Bergamini, Nicholas Brandon e Alessandro Bergallo interagiscono sul palco con personaggi creati dall’illustratore Gregorio Giannotta, che per lo spettacolo ha realizzato centinaia di tavole. Giannotta ha pubblicato disegni, illustrazioni e storie a fumetti per diversi editori, e ha collaborato alla realizzazione di diversi film d’animazione. Nel 2001 ha partecipato alla biennale dei giovani artisti a Sarayevo.
I disegni animati saranno proiettati sul palco trasformando il teatro in un luogo sospeso tra due dimensioni. Dai bozzetti di Giannotta, Bruno Cereseto ha realizzato i costumi di scena.
Terzo elemento fondamentale dello spettacolo, insieme agli attori e ai disegni animati, sarà la musica di Dado Moroni. Il grande musicista italiano ha composto le musiche originali dello spettacolo, diventandone anche un protagonista. Gregorio Giannotta, infatti ha creato/disegnato un Dado Moroni in matita e pastelli, che sarà in scena con gli attori in carne e ossa.
Nessuno meglio di un jazzista di fama mondiale poteva tradurre in note le pagine scritte da Boris Vian. Moroni ha saputo cogliere le sfumature, le improvvisazioni e gli umori dell’artista francese, che prima di diventare scrittore è stato un grande jazzista degli anni ’40, e questo stile musicale così imprevedibile è stato anche il filo conduttore della sua opera letteraria.
A rendere ancora più fantastica l’atmosfera sono le scene, realizzate da Luigi Ferrando, che coinvolgono emotivamente lo spettatore trasportandolo in una dimensione grottesca in bilico tra il fantastico e la realtà. La scena verrà percorsa in lungo e in largo dai protagonisti, ma grazie all’uso di botole e porte oblique i personaggi potranno salire e scendere sfidando, come nei sogni le leggi della forza di gravità. Un mondo dominato dalle regole della patafisica, ovvero la scienza delle soluzioni immaginarie.
Grazie a questo spettacolo la Tosse ritorna alle sue origini: scena, costumi e luci giocano con il bianco e il nero come accadeva nell’Ubu Re, messo in scena da Tonino Conte ed Emanuele Luzzati nel 1975, primissimo titolo della lunga storia del teatro della Tosse. Molti sono anche i punti di contatto tra Alfred Jarry, autore dell’Ubu e padre del teatro dell’assurdo, e la scrittura “jazzistica” di Boris Vian.
Protagonista della storia è Amadis Dudu, interpretato da Enrico Campanati, un subdolo e ambiguo impiegato, che si reca al lavoro facendo sempre lo stesso percorso. Un giorno sale su uno strano autobus, con un controllore bizzarro e un autista folle, che invece che condurlo davanti all’ufficio lo portano in Exopotamia.
In questa terra a metà strada tra la realtà e il sogno, Amadis incontrerà personaggi bizzarri e soprattutto si imbarcherà in un’impresa tanto mastodontica quanto inutile: la costruzione di una ferrovia in mezzo al deserto. Tra professori stravaganti, ingegneri eccentrici (lo stesso Vian era un ingegnere), segretarie provocanti, politici ambigui e ristoratori irremovibili si snoda un’avventura grottesca costellata di sorprese.
Uno spettacolo jazz, proprio come la scrittura di Vian fatta di improvvisazioni, discrepanze e sorprendenti armonie. Nel viaggiatore onirico confluiscono diversi elementi, che pur mantenendo un’identità precisa e singolare riescono ad unirsi in un unico spartito. Diversi piani di lettura, che si
intrecciano e si snodano, si inseguono e si scontrano come nel teatro di Jarry oppure come nei sogni.
Una storia poetica, visionaria e bizzarra in un mix di generi e umori, che rendendo omaggio al grande artista transalpino - di cui il Teatro della Tosse lo scorso anno aveva celebrato il cinquantenario dalla scomparsa con lo spettacolo/omaggio Gala de Musique de Boris Vian - , che esplora il mondo onirico.
All’inizio dello spettacolo, infatti Angel (Alessandro Bergallo) sale sul palco per dare la carica a un grande orologio a cucù, che si trasforma in un cervello. È qui tra le sinapsi e i neuroni, che si forma l’attività onirica dell’uomo e che si svolgono i fatti de Il viaggiatore onirico.
Il mondo onirico è uno spazio dentro tutti noi, del quale conosciamo relativamente poco. Freud, il padre della psicanalisi, ha sempre detto che “il sogno è la via maestra per esplorare l'inconscio" oltre a costituire il mezzo più efficace per osservare le fantasie rimosse dall'area della coscienza durante il giorno, che vengono rappresentate come in una specie di teatro durante la notte.
Il viaggiatore onirico sarà in scena da giovedì 28 ottobre a sabato 6 novembre, Sala Aldo Trionfo.
L’incasso della prima serata sarà interamente devoluto alla LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori - Sezione di Genova), che sta lavorando ad “Ancora Donna”, un nuovo progetto dedicato alle donne in chemioterapia e in radioterapia. Il progetto, che intende fornire un aiuto concreto alla donna, è completamente gratuito, e sarà situato all’interno di “Casa Amici”, una grande casa dedicata ai malati oncologici provenienti da lontano e situata in Corso Europa 44/1.