domenica, settembre 30, 2007

PARTICOLARE INQUIETANTE



VIRGILIO POETA VIAGGIATORE MAGO PATAFISICO 70 - 19 a.C.

Mentre Spartaco guidava la rivolta degli schiavi contro l' impero romano e veniva sconfitto ed ucciso da Pompeo e Crasso;
mentre Cesare, trentenne, si presentava candidato per un posto di questore a Roma;
nasceva nelle campagne mantovane, vicino alle rive del Mincio, Publio Virgilio Marone.
Le notizie sulla sua famiglia sono varie e contraddittorie: una discendenza celtica e l' appartenenza a una stirpe di " maghi " sono citate più volte.
I genitori erano benestanti abbastanza da permettersi di mantenere il figlio agli studi, prima a Cremona, poi a Milano; studiò lettere latine e greche, medicina, matematica, filosofia con Sirone l' epicureo, fisica. Si interessò agli scritti di Pitagora, di Platone, degli accademici e degli stoici; fu iniziato alla lettura di Omero ed alle mitologie classiche dal grammatico greco Partenio; conosceva Teocrito e la cultura fiorita sotto la dinastia Tolemeide nel Mediterraneo: non erano passati che duecento anni e i maestri greci emigravano in tutto il mondo lavorando come insegnanti.
Virgilio scrisse ancora ragazzo le sue prime composizioni, i bucolica carmina, canzoni pastorali; sono prove di emulazione di Teocrito, ma anche un palese tentativo di tramandare la cultura greca al mondo latino.
Quando ebbe compiuto i ventisette anni una disgrazia venne a turbare la sua vita fino allora dedicata a problemi di ordine intellettuale: Ottaviano Augusto imperatore, dopo la lunga guerra in Asia, torna vincitore a Roma ed assegna ai reduci ottimi appezzamenti di terreno nelle province di Cremona e Mantova; poco importavano ad Ottaviano i destini degli abitanti di quelle zone, piccoli proprietari e pastori provenienti dalle più diverse parti dell' Europa: sarebbero semplicemente ritornati profughi. Così era in quei tempi . . .
Anche ciò che è di Virgilio viene assegnato ad un reduce, terre, campi, residenza in città, servitori, tutto.
Virgilio, attraverso l' amicizia con Asino Pollo, comandante delle truppe imperiali nel mantovano, ottiene una presentazione per Mecenate e parte per Roma portando con sè i bucolica carmina; ottiene da Ottaviano di poter conservare il suo possesso e riceve l 'ordine di comporre altre canzoni che oltre ad avere uno scopo didattico divulgativo, celebrino l' imperatore e i suoi ministri.
Ma nonostante questo il veterano al quale era stato assegnato il podere di Virgilio reclama con la forza la sua conquista e cerca di ucciderlo; non c'è nulla da fare:
" Ma le poesie ci valsero,
contro le armi marziali, quanto si dice valsero
le colombe d' Africa contro le aquile rapaci. "
I suoi protettori romani gli offrono un posto di lavoro nell ' amministrazione pubblica di Napoli, una villa prestata da Mecenate, un' ordinazione per le Georgiche, seconda opera che scriverà negli anni successivi.
Gli ultimi anni della sua vita trascorsero tra viaggi e tentativi di comporre l' Eneide, saga di leggende sulle origini dei romani; rimase incompiuta e venne completata, nonostante il suo desiderio che fosse bruciata, da altri poeti minori.
Morì in Puglia, di ritorno da un viaggio incompiuto verso la Grecia; fu sepolto a Napoli, per la via vecchia di Pozzuoli, all' età di cinquantuno anni, diciannove anni prima della nascita di Cristo.
La Redazione di Wanted - novembre 1996

venerdì, settembre 28, 2007


INCIPIT DE “ I FIORI BLU” di Raymond Queneau nella traduzione di Italo Calvino

CAPITOLO PRIMO

Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là. Sulle rive del vicino rivo erano accampati un Unno o due; poco distante un Gallo, forse Edueno, immergeva audacemente i piedi nella fresca corrente. Si disegnavano all’ orizzonte le sagome sfatte di qualche diritto Romano, gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto Vandalo. I Normanni bevevan calvadòs.
Il Duca d’ Auge sospirò pur senza interrompere l’ attento esame di quei fenomeni consunti.
Gli Unni cucinavano bistecche alla tartara, i Gaulois fumavano gitanes, i Romani disegnavano greche, i Franchi suonavano lire, i Saracineschi chiudevano persiane. I Normanni bevevan calvadòs.
“Tutta questa storia”, disse il Duca d’ Auge al Duca d’ Auge, “ tutta questa storia per un po’ di giochi di parole, per un po’ d’ anacronismi: una miseria. Non si troverà mai una via d’ uscita?”
Affascinato, continuò per alcune ore a osservare quei rimasugli che resistevano allo sbriciolamento, poi, senz’ alcuna ragione apparente, lasciò il suo posto di vedetta e scese ai piani inferiori del castello, dando di passata sfogo al suo umore cioè alla voglia che aveva di picchiare qualcuno.

Picchiò, non la moglie, inquantoché defunta, bensì le figlie, in numero di tre; batté servi, tappeti, qualche ferro ancora caldo, la campagna, moneta, e, alla fin fine, la testa nel muro. Ciò fatto, gli venne voglia di un viaggetto, e decise di recarsi nella Città Capitale in umile arnese, accompagnato solo dal paggio Mouscaillot.

Scelse tra i palafreni il suo roano preferito, chiamato Demostene perché parlava, pur col morso fra i denti.

" Ah, mio buon Demò, " disse il Duca d' Auge con voce lamentosa, " quanta tristezza, quanta melanconia m' opprimono! "

" Sempre la storia? " domandò Sten.

" Non c'è gaudio che in me lei non dissecchi ", rispose il Duca.

" Coraggio! Vossignoria si metta in sella, e andiamo a spasso! "

" La mia intenzione era ben questa, e altra ancora. "

" Qual mai? "

" Andar via per qualche giorno. "

" Così sì che mi piace! Dove vuole che la porti, signoria? "

. . .

giovedì, settembre 27, 2007

GRANDE ROLAND TOPOR




ALBERTO SAVINIO


Surrealismo

pubblicato in "L'Ambrosiano", Milano, 7 settembre 1926


Chi ha detto che Parigi è una città moderna, progressista? E', in verità, la Città più immobile, più antiprogressista del mondo. Qui, sulle rive della Senna, le cose più futili, le cose cui per tutto altrove il destino assegnerebbe un' esistenza brevissima, istantanea, acquistano il peso, la forza delle istituzioni più salde. Per quale miracolo di staticità, mi domandavo io ieri sera fermo in mezzo al boulevard de Clichy, certe attrazioni idiote ed estemporanee come il cabaret del "Néant" ad esempio oppure del "Paradis et de l' Enfer" riescono tuttavia a mantenersi in vita?

Vero è che le nuvolone di questo ridicolo Paradiso fanno pena ormai, così annerite dai fiati degli autobus e dalle ditate degli uomini; vero è che codesti angioloni fanno schifo ormai, così mal ridotti e snasati dall' incuria del tempo.

E poiché il cuore davanti a tanta miseria mi cominciava a piangere e l'animo a immalinconirsi, l'occhio mio d'istinto superò le povere decorazioni di quel Paradiso trasandato e salì a cercare più fresche e più pulite visioni celestiali.

Scoprii così, sopra le nuvole del "Paradis" il tenue brillio di una vetrata di atelier e, dietro quella, una luce pallida, morente, che oscillava lenta come anima sperduta in mezzo a un deserto di ghiaccio.
Ho una profonda conoscenza di tutti i movimenti intellettuali dell'Europa in genere, e di quelli di Parigi in ispecie. Non potevo ignorare dunque che sopra il tetto del Paradiso il gruppo dei Surrealisti ha stabilito il proprio quartier generale. E poiché quella luce languente m' indicava che in quell' ora medesima qualcosa di molto importante avveniva dietro la misteriosa vetrata, stabilii di muovere a più precise constatazioni.
Tornai alla place Pigalle su cui il "Moulin Rouge" faceva ruotare le ali infocate, voltai nella rue Fontaine. Un negro, a una finestra, rideva in bianco e si cullava sul petto il biondo capino di una bambina di aspetto angelico. Creature sinistre rasentavano l' ombra dei muri. Dal sommo di ogni portoncino, insegne luminose invitavano alla fratellanza universale.
Mi fermai al numero quarantadue, traversai un oscuro cortile, passai davanti l' impressionante traguardo della portineria, cominciai a salire le scale a spirale che conducono alla sede del Surrealismo.
Questa parola non richiede spiegazioni. Sta a determinare il "secondo piano" per così dire della realtà: la realtà della fantasia, della poesia. Meno qualche sottile distinzione, Surrealismo è sinonimo di Metafisico, secondo il significato dato per primo da Nietzche a questo aggettivo.
La parola Surrealismo ha una storia propria. Il primo che la usò fu Gérard de Nerval. Ma senza fortuna né conseguenze. Quando Guglielmo Apollinaire la riprese e la usò per conto suo, sembrò un' invenzione di Apollinaire. Ma nemmeno questi riuscì a dare al termine Surrealismo un destino brillante. Un' altra volta questa parola si spense, sparì, finché non fu riesumata dal letterato André Breton e dal suo gruppo, composto dagli scrittori Louis Aragon, Paul Eluard, Robert Desnos, cui si sono aggregati di poi parecchi personaggi minori e tuttavia nascosti dietro il velo dell' oscurità.
In un primo tempo, il gruppo degli attuali Surrealisti militò sotto la bandiera del Dadaismo, che riconosceva quale capo supremo il nominato Tristan Tzara. Tra capo e gregari non tardarono però a scoppiare quei dissensi che fatalmente avvengono in qualunque raggruppamento o consorteria politica, o artistica, o di altro genere. Buttato a mare dai suoi medesimi seguaci, il nominato Tristan Tzara cadde in grande miseria, donde non si risollevò se non un anno fa, grazie a un ricco matrimonio. Lo scettro del comando restò nelle mani del letterato André Breton, il quale trasformò gli statuti dell' associazione, rinnovò le direttive e gli ex-dadaisti convertì in Surrealisti.
Ero giunto intanto all' ultimo piano. Spinsi il battente dell' uscio, non chiuso ma soltanto appoggiato, e penetrai senza far rumore dentro un vasto locale sepolto in una mistica penombra.
Aguzzai lo sguardo e riuscii a distinguere delle sagome di persone sdraiate alcune sopra divani, altre sul piantito. Dal cuore della penombra si levava una voce profonda, baritonale, che con enfasi declamava frasi tutte egualmente sconnesse, ma piene di lirismo.
Dopo un periodo di tempo, di cui non mi fu possibile misurare la durata, la voce si placò, si spense; qualcuno girò l'interruttore della luce e di colpo l'intero manipolo dei Surrealisti emerse dalle tenebre stropicciandosi gli occhi.
"Abbiamo fatto un esperimento di poesia surrealista" mi disse monsieur André Breton, gran sacerdote e padron di casa. E' costui un uomo di corporatura maestosa, armato di occhiali americani, con folta e ondosa chioma e fianchi larghissimi che, in una donna, sarebbero indizio sicuro di fecondità. Ma in lui, affrettiamoci a dire, questo pregio somatico rimane privo di qualunque effetto fisico o spirituale.
Robert Desnos, il "soggetto" preferito per gli esperimenti di improvvisazione surrealista, serba quel tipico aspetto trasognato che ha il medium dopo la seduta spiritica.
"Sarebbe bene", dissi al Gran Sacerdote, "che mentre il Signor Desnos declama, qualche stenografo trascrivesse le sue parole".
Ma la mia proposta fu respinta con sdegno. "No", rispose il Gran Sacerdote, "dal movimento surrealista qualunque intenzione pratica è rigorosamente esclusa".
Quod demonstrandum est.
Conviene aggiungere a onore della verità che non tutte le manifestazioni dei Surrealisti hanno il carattere pacifico della seduta più sopra descritta.
Il Surrealismo anzitutto si prefigge un programma rivoluzionario, vuole sovvertire l'ordine della società, trasformare i costumi, abolire le leggi in vigore e, sotto pretesto di portare il livello dell' umanità al livello della poesia surrealista, mandare il mondo in rovina. Che importa che qualunque surrealista preso a parte costituisca un perfetto esemplare del borghese parigino?
Surreslista è sinonimo di distruzione.
Di questa grande opera di annientamento, nessuno, e il più scrupoloso conservatore ancora, riesce a vedere il più lieve indizio.
Invano l'organo ufficiale di codesti distruttori s' intitola " La Révolution Surréaliste ", invano l'agitato gruppo di codesti signori sforniti d'ingegno organizza scenate e clamorose manifestazioni nei teatri e nei luoghi pubblici, invano i surrealisti con a capo monsieur Breton si presentano a un banchetto ufficiale con la parola di Cambronne scritta in nero sulla fronte, invano il direttorio del Surrealismo spedisce ai più autorevoli personaggi di Parigi lettere redatte in questo modo: " Monsieur vous êtes un ... ( qui una parola che è meglio non ripetere ) et un lâche". I "borghesi", i "realisti" non si scompongono, si mostrano disperatamente determinati a non prendere sul serio i "distruttori", e quanto alle circolari minatorie, o restano senza risposta, oppure fanno ripetere la frase di Tecoppa: "Non accetto".
Dopo qualche chiassata più clamorosa, intervengono i "flics", che con quattro pedate rimettono ogni cosa in ordine.
Respinti ma non domi, i Surrealisti allora tornano a raccogliersi nel loro quartier generale della rue Fontaine e là, spenti i lumi, la voce baritonale di monsieur Robert Desnos ricomincia i colloqui con la musa sconsacrata.

mercoledì, settembre 26, 2007


LA CARRIOLA ovvero LE GRANDI INVENZIONI


il pavone fa la ruota

il caso fa il resto

dio si siede sopra

e l'uomo lo spinge


jacques prèvert 1900 1977

Il manifesto dell'aereopittura


11 febbraio 1910

AGLI ARTISTI GIOVANI D'ITALIA!

Il grido di ribellione che noi lanciamo, associando i nostri ideali a quelli dei poeti futuristi, non parte già da una chiesucola estetica, ma esprime il violento desiderio che ribolle oggi nelle vene di ogni artista creatore.
Noi vogliamo combattere accanitamente la religione fanatica, incosciente e snobbistica del passato, alimentata dall'esistenza nefasta dei musei. Ci ribelliamo alla suprema ammirazione delle vecchie tele, delle vecchie statue, degli oggetti vecchi e dell'entusiasmo per tutto ciò che è tarlato, sudicio, corroso dal tempo, e giudichiamo ingiusto, delittuoso, l'abituale disdegno per tutto ciò che è giovane, nuovo e palpitante di vita.
Volendo noi contribuire al necessario rinnovamento di tutte le espressioni d'arte, dichiariamo guerra risolutamente, a tutti quegli artisti e a tutte quelle istituzioni che, pur cammuffandosi di una veste di falsa modernità, rimangono invischiati nella tradizione, nell'accadentismo e soprattutto in una ripugnante pigrizia cerebrale.
Hanno ben altri interessi da difendere i critici pagati! Le esposizioni, i concorsi, la critica superficiale e non mai disinteressata condannano l'arte italiana all'ignominia di una vera prostituzione!
Ecco le nostre conclusioni recise:
1- Distruggere il culto del passato, l'ossessione dell'antico, il pedantismo ed il formalismo accademico.

2- Disprezzare profondamente ogni forma d'imitazione.

3- Esaltare ogni forma di originalità anche se temeraria, anche se violentissima.

4- Trarre coraggio ed orgoglio dalla facile traccia di pazzia con cui si sferzano e s'imbavagliano gl'innovatori.

5- Considerare i critici d'arte come inutili e dannosi.

6- Ribellarci contro la tirannia delle parole: ARMONIA E BUON GUSTO, espressioni troppo elastiche.

7- Spazzar via dal campo ideale dell'arte tutti i motivi, tutti i soggetti già sfruttati.

8- Rendere e magnificare la vita odierna, incessante e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa.

Siano sepolti i morti dalle più profonde viscere della terra! Sia sgombra di mummie la soglia del futuro! Largo ai giovani, ai violenti, ai temerari!


BALLA BOCCIONI CARRA' RUSSOLO SEVERINI
immagine: primo carnera campione del mondo 1933-34 giacomo balla