mercoledì, giugno 30, 2010

VIZIO E VIRTU' di Victor Joseph

VIETATO AI MAGGIORI DI ANNI DUE

RACCONTO DA SCOGLIO pubblicato su WANTED numero diciotto luglio millenovecentonovantanove - anno tre



C'era una volta, molto tempo fa, il regno di Vivaddio, dove un re e una regina vivevano con il loro unico figlio maschio, il principino Diamante; il regno era vasto e confinava ad est con le province imperiali dell' Occidente.

Il piccolo principe crebbe languido e un po' svogliato tra trastulli e vizi; il re era un erotomane, giocondo con pancia, indaffarato nel godere epicureo e/o neoplatonico; la regina madre, triste, disillusa, molto probabilmente del tutto frigida, non riuscendo più a desiderare, rifletteva sul figlio una bellezza acquatica di eterno feto.

Ai margini del regno, nella più misera provincia di Caccasec, vivevano, leggeri e veri, cioè, poveri in carne, due artigiani, maschio e femmina, con la figlia Beatrice, una giovane donna con un alone vero di luce, intorno alla pelle, visibile ad occhio, più che nudo, denudato dall'impatto col suo odore naturale.

Un giorno la Maga di Babilonia, in cerca di nuovi volti per gli spettacoli nelle province imperiali, ormai saturo di bellezze locali e importazioni bianche e nere, si trovò a passare da Vivaddio con il suo fantasmagorico seguito di streghe, bei ragazzi, animali rari e servitori multietnici.

Il re e la regina la accolsero da buoni vicini e organizzarono una cena con dopocena in terrazza e fuochi artificiali; la Maga, quando si avvide del bel principe malinconico e un po' anoressico, si leccò i baffi senza alcun ritegno guardandolo negli occhi:

"Hai mai fatto un provino, tesoro?" gli chiese in presa diretta.

"No, ti dirò, non credo ..." rispose il pallido.

"Vieni con me ai Mass Studios dei Centri Imperiali; potrai conoscere importanti produttori autorevoli che ti apriranno la porta del successo con metodi dolci; sarai famoso, e ..."

"Interessante! ", interruppe la regina madre, "sarei molto contenta per te e magari ogni tanto ti verrei anche a vedere; è così noioso questo regno! Sono sicura che in un luogo come i Centri Imperiali la vita è diversa, più piena! A volte cambiare città può cambiare la vita, sono sicura. Vai, vai figlio mio, ho sempre sognato per te un futuro di successo nei Mass Studios, dei Centri Imperiali!"

"Fare il giro del mondo è come fare il giro dell'orto", disse una gazza parlante al re facendogli il solletico fra le gambe.

Ci vollero i buoni uffici della strega Oraline che impiegò gran parte della notte nel convincerlo: all' alba il re, in stato preinfartuale, si disse senz'altro d'accordo e firmò il beneplacito per lo sfruttamento dei diritti e gli accordi percentuali.

Oraline scoprì nel primo pomeriggio, svegliandosi,di avere alcune protesi fuori posto e corse urlando da Maga per chiedere i danni; la trovò gonfia come un' ape regina o una zecca, a seconda dei punti di vista. Nel suo enorme letto variopinto giacevano bianchi come cenci lavati quel che restava di Diamante e di due giovani neri sbiancati dalla paura che erano serviti di rinforzo per il suo appetito leonino.

Assegnò ad Oraline la compilazione della lista spese e ordinò una livrea del seguito per Diamante, firmata da Geniozzo Bucci; al povero principe tremavano un po' le gambe, la sua voce aveva preso un che di petulante, ma si accinse di buon grado e speranzoso alla nuova vita.

La carovana di ritorno passò per le periferie di Caccasec; la vettura nera di Maga, con accessori rossi, sgassava sotto la guida nervosa dell'infante; notarono, notò Beatrice che camminava con la classica brocca dell'acqua, sicura nella sua giovane bellezza divina.

Diamante inchiodò, strizzò l' occhio a Maga e leccandosi le labbra come la réclame del Campari ammiccò la splendida e cercò di dimostrare di aver imparato la lezione.

"Ehi, bambolina, hai mai fatto un provino?"

"No, signore, buongiorno!"

"Vieni con noi, unisciti! Siamo in viaggio verso i Centri Imperiali e abbiamo posto per te ..."

"Verrei volentieri, ma sto andando da mia nonna che è vecchia, sola e malata, se mi vuoi aspettare dopo verrò."

Maga si sporse passando sopra al ragazzo e sbraitò:

"Niente aspettare, niente! Se vuoi, o non vuoi, una posizione, andiamo, comoda, non so se mi spiego ..."

"No grazie, signora, sto bene dove sto, auguri, arrivederci e grazie."

La divina creatura svanì, odore di fiori, e Maga invece di arrabbiarsi le fece il dono che spetta di diritto alle belle donne che stanno bene dove sono: Naturali Storie di Cuore, par fum; donò a Diamante, per consolarlo, l'indigente Profumo di Tomba.

Vissero felici e lieti tutti: Maga, Diamante, Beatrice, re e regina, nonni, genitori, cuori e somari, e seguito.

Oppure: la stessa energia che ci vuole per trasgredire ci vuole per rinunciare.
Oppure: la forza che permette alla pianta di piegarsi è la stessa che permette al vento di spezzarla.

Leggera è la foglia
Pesante la via
Dite la vostra
Che ho detto la mia.

FINE

martedì, giugno 29, 2010


IL TOPO GIULIO VA IN CITTA'
RACCONTO BREVE DA SCOGLIO
Di Victor Joseph
Pubblicato sul numero unico balneare di WANTED numero 12 luglio 1998

PROLOGO

C'era una volta, e forse c'è ancora, una casa colonica leopoldina su un poggio casentinese; ormai in rovina, ospita, tra i sassi e i cespugli di ginestre, un vecchio topo campagnolo, il topo Giulio.

Il topo Giulio passa lunghe ore a meditare e a ricordare i tempi agiati, nei quali il granaio traboccava di delizie e gli orti fornivano cibo in abbondanza; il falco e il serpente giravano al largo, temendo il fucile e il bastone dell'uomo. Da anni ormai la casa è abbandonata e tutti gli animali del territorio sono ritornati selvatici; lo prendono in giro, pensando che inventi favole, quando racconta, unico testimone rimasto, delle grosse briciole che cadevano dai panini dei bambini, i pomeriggi di luglio, nell'aia.

Ma oggi è un giorno diverso dagli altri, per il topo Giulio: una macchina Golf Raglan arriva, arrancando sulla strada sterrata e polverosa, e si ferma accanto all'aia.
Scendono tre ragazzi, e si mettono seduti sulle pietre a rollare canne: il guidatore, scendendo, si leva gli anfibi e li lascia in terra, buttati là.
Per un' ora i ragazzi fumano, e ridono, e parlano di musica, di pasticche, di ragazze; poi ridendo e gridando vanno alla scoperta della casa, e le loro voci si perdono mentre salgono le scale esterne.
Il topo Giulio sente un odore per lui irresistibile, un ricordo di rosicchiate infantili sensualissimo: l'odore degli anfibi - infatti era nato in una vecchia scarpa abbandonata nella stalla.
Mentre annusa eccitato, in fondo in fondo al buio e all'odore, all'interno della punta, i ragazzi correndo escono dalla casa e montano veloci in macchina; il guidatore prende al volo gli anfibi per le linguette dietro, e li lancia in macchina; la macchina riparte, gira, e il topo Giulio lascia la sua casa leopoldina.
Dopo un viaggio che sembra lunghissimo, la macchina si ferma di nuovo e i ragazzi scendono; è quasi sera, le otto e mezzo di sabato sera, 3 luglio 1998; quando il guidatore scaraventa giù le scarpe e si siede in terra per infilarsele, il topo Giulio svelto come Speedy Gonzales fugge in direzione di un cespuglio basso.
I ragazzi urlano, bestemmiano, scuotono le scarpe, lo cercano, ma lo hanno perso di vista; presto si allontanano in direzione dello stadio:

Il topo Giulio è sbarcato a AREZZO WAVE.

PARTE 1

Giulio il topo si avvicinò al campeggio, attratto da odori misti; il sentierino fra i campi, dietro lo stadio, era stato usato come cesso da tre giorni, e si faceva lo slalom fra le merde; siringhe, finalmente, zero. Tre cavalli sonnecchiavano preoccupati per le loro onecchie: il concerto serale non era iniziato, ma i djembe suonavano ininterrottamente da settanta ore, chi bene, chi meno bene, chi malissimo.
Fece una ricca merenda con i semi selvatici dei campi, poi andò verso la gente e i gruppi di punk a bestia e di rasta finti, che avevano creato un piccolo mercato alimentare libero fuori dello stadio. Sotto il primo banchino che trovò, mangiò tre grossi pezzi di biscotti alla marijuana, al secondo degustò avanzi di crépes ai funghi messicani, al terzo si inebetì con schizzi di sangria; fatto sta che quando rosicchiò una mezza pasticca di Simpson caduta a chissà chi sui bordi della strada, non se ne accorse neanche.
Cazzo, pensò, qui in cinque giorni si consuma una mezza tonnellata di marocco e cioccolato, e un ventimila pasticche (quest' anno è girato anche diverso oppio ), lo capirebbe anche un topo che questa è la Festa delle Canne e la musica c'entra appena appena, d'altra parte dove li mandi tutti questi poveri giovani ricchi l'estate, se non a Arezzo Wave, Pistoia Blues, Pelago On The Road, www.cacca.c, infottlinecc.ecc.
Agli ingressi posteriori, quelli dalla parte del campeggio, i poliziotti non esistevano, c'erano solo i gorilla di sorveglianza che, se dietro la maglietta avevano scritto "Security", davanti portavano lo slogan del loro sponsor: "Leccami la Rizla". Molto fine.
Giulio il topo percorse in lungo e in largo il mercatino fricchettone; assomigliava un po' alla Mostra internazionale dell'artigianato, un po' alla festa dell'Unità: in vendita chilum, bigiotteria, abiti, incensi ... anche qui niente briciole di pane, niente chicchi o granelli; solo cicche, tappi di birra e briciole di fumo.
Desolato e molto stupefatto si infilò in un buco nel cemento, un attimo, per riflettere - spero non sia la tana di un serpente - pensò, era umido e puzzolente lì dentro, stava già per tornarsene indietro quando fu afferrato bruscamente per una zampa.
- Ehi vecchio, da dove vieni? - era una topina alta e slanciata, con oggetti luccicanti annodati tra il pelo, e una strana treccia rasta da una parte sulla testa, con un pennacchio verde pisello in fondo.
- Veramente non lo so - disse lui - ero lì che mi godevo il fresco tra le ginestre, poi quell'odore ... dove sono ora? -
- Ora sei nel mio territorio - disse la topina - io sono King Mary, e comando ai topi dello stadio, tu ora sei mio prigioniero, vieni -.
Qui si tromba!!! Pensò il topo fregandosi le zampe, ma era solo una bella speranza.
Passarono accanto a un gruppo di cani sciolti, che aspettavano malinconicamente i padroni e si lamentavano della scarsità di cibo; King Mary lo tirò più forte - Sbrigati, idiota! Se ci vedono ci mangiano - presto arrivarono al rifugio centrale dei topi, sotto i bagni dello stadio.
Giulio il topo fu legato alla grata esterna per una zampa, e passò la serata ad osservare i poliziotti che perquisivano i ragazzi all' ingresso principale.
Certo bisogna esser topi per passare da questa entrata con il fumo nello zaino, concluse a fine serata, e piombò in un sonno profondo.

SOGNO

tutto ciò può sembrare liberatorio
macché macché io sono solo
un topo forse un topo intellettuale
ma tutto è organizzato massificato
ricondotto al consumo al profitto
la musica l'arte l'amore perfino
i rituali la magia si compra
si beve ma il cuore dov'è
io ho un cuore da topo ma batte
più forte di questi tamburi
masse addormentate con un pensiero debole
tranquillizzano i sonni estivi del questore
nessuno corre, nessuno tira pietre
e il lunedì mattina, quieti quieti, levano le tende.

PARTE 2

La mattina di domenica King Mary svegliò Giulio, gli montò sulla schiena e pretese di fare il giro di tutto lo stadio in groppa, così, per far vedere a tutti il suo nuovo prigioniero; era vecchiotto, ma robusto molto più degli altri topi adulti, e con dei colori così sfumati nel pelo brillante come non ne avevano mai visti, abituati al grigio topo, uniforme, sporco, della vita nel cemento di città; nel pomeriggio cinque o sei topine giovanissime si misero con impegno a intrecciargli il pelo della coda e ai lati della pancia; aggiunsero lunghe treccioline di nylon rosicato dalle corde delle bandiere e alla fine Giulio sembrava un principe indiano, e si era quasi dimenticato dell'odore delle ginestre, eccitato dall'odore un po' di fogna di quelle topine metropolitane tutte smorfiette e ornamenti.
Così conciato, fece il suo giro serale con King Mary a cavalluccio, verso le sette, prima che lo stadio si riempisse di gente per la serata conclusiva. La fumeria era già iniziata e sugli spalti un genitore furibondo cercava il figlio che non dava notizie di sé da quattro giorni - Cosa glielo abbiamo comprato a fare il telefonino? - borbottava - se poi quell' imbecille lo tiene spento, guarda dove mi tocca venire a cercarlo, in questo covo di drogati, altro che piccola Amsterdam, come c'è scritto sulla Nazione, guarda quello, come fuma, e che occhi hanno questi ragazzi, rossi, e vuoti, ma che accidenti gli abbiamo fatto? E sua madre che dice: vallo a prendere! Vallo a prendere, dove? Ti immagini se mi vedono qui, se incontro qualcuno, che figura ci faccio, e quello chi è, oddio, l'assessore, menomale che non mi ha visto, ma che fa? -
In realtà l'assessore stava acquistando due pasticche estasiose per sé e per il suo amico travestito con il quale progettava di passare una domenica sera fuori dal Comune: grazie alla recente mostra da lui organizzata, e per la quale aveva ricevuto finanziamenti per trentadue milioni, e spesi effettivi sette, sarebbero volati nella notte sul diciotto valvole a Montecarlo e lì, dopo aver giocato e bevuto tutta la notte, avrebbero visto l'alba da una cameretta sul mare, stremati ma ancora svegli.
Quando il topo Giulio, legato di nuovo alla grata, vide passare gli anfibi del guidatore si era già stancato del suo nuovo status di topo da parata, e cominciò a pensare ad una soluzione.
- Ehi, bella cicalina! - gridò ad una delle topine del pomeriggio, che passava di lì; quella si girò, indispettita: - Senti, brutto topo, io non sono affatto una cicalina! -
- Scusami, ma vedi, volevo chiederti un piacere, slegami un po', mi fa male la zampa dopo tutti quei giri e questa corda che mi lega ...-
- Sono problemi tuoi! - disse decisa la topina, e se ne andò.
- Accidenti a quanto sono egoisti i giovani d'oggi! - sbottò il topo - ai miei tempi era diverso, e ci si aiutava se c'era bisogno, basta, basta, voglio ritornare a casa, meglio il falco e il serpente di questa confusione -.
Il vecchio metodo di rosicchiare la corda, piano piano, funzionò, e il topo Giulio riuscì a sgattaiolare fuori dai bagni prima che cominciasse l'ultimo concerto; già i poliziotti si erano fatti più arditi, e giravano sempre più vicini al reparto cannabinolanti, tanto per far capire che la festa stava per finire e dopo tutto sarebbe ritornato come prima.
Il tragitto fra le bancarelle fu lungo e difficile, tutti stavano sgombrando e caricando i furgoni con i quali sarebbero andati verso altre feste dell' unità e delle canne, per tutta l'estate; intanto si lamentavano della gente che non compra, degli spazi pagati trentamila a sera, quando poi in fondo avrebbero dovuto ma essere pagati loro per il folklore che avevano portato con tutti i loro cenci indiani e capelli scarduffati, menomale che gli affari di fumo erano andati benissimo, quello sì, che si è venduto a pacchi, e guadagnato bene, il prossimo anno ne porteranno di più.
Scansare le decine di cani allupati dalla fame fu un' impresa da eroe: - Certo - pensava il topo - questi ragazzi hanno fatto molti più cani che figli, per fortuna gatti non ce ne sono, né falchi, né serpenti; ora passerò dal campo da dove sono venuto, e forse troverò la macchina Golf Raglan che mi ha portato qui.
Riattraversò il campo, si sfamò finalmente di semini selvatici, rivide i cavalli ormai sordi, e alla fine del sentiero trovò la macchina, miracolo! con un finestrino aperto a metà, nel quale riuscì a buttarsi dopo essersi spenzolato a lungo da un ramo di un cespuglio accanto alla strada. Arrivato sotto il seggiolino del guidatore si addormentò, cullato dall' odorino degli anfibi, che spesso venivano messi lì.

EPILOGO

I ragazzi arrivano verso le una, ridendo e scherzando; parlano di musica, di pasticche, di ragazze.
Uno dice: - Andiamo a farci le canne dove si era l'altro giorno, su a quella casa - anche gli altri: - Sì, sì, dai, compriamo delle birre, andiamo a quella casa - allora su, verso il fresco e la campagna, con la luna quasi piena che fa risplendere la strada sterrata.

Il topo Giulio pensa seriamente di cambiare il suo nome in Fortunato, proprio a casa sua stanno andando, sì, ripenserà ogni tanto a King Mary e ai topi dello stadio, in fondo sono persone come lui, ma quanto gli manca il silenzio e il sapore della terra pulita, per quanto intellettuale è pur sempre un animale.
I ragazzi arrivano, scendono, impastano, rollano, lasciano gli sportelli aperti per farsi un po' di luce mentre lavorano.

Il topo Giulio semplicemente scende ed è tornato a casa sua.
Adesso non è più solo l'unico testimone dei tempi passati; è anche testimone della vita di città, laggiù, dove, anche la notte, le luci e i rumori non finiscono mai, e le persone e gli animali vivono vicini ma separati alienati ognuno nel suo guscio virtuale.
Forse solo nella campagna, dove il tempo è sempre uguale e il paesaggio non cambia mai, un topo può essere felice!

Il topo Giulio si addormenta fra le ginestre e sogna di intrecciare fiori colorati al pelo delle topine dello stadio; nel suo sogno non odorano di fogna, ma di terra, come le topine dei bei tempi andati.
I ragazzi si addormentano sui sassi dell'aia, scaldati dal sole tutto il giorno; sognano montagne di pasticche colorate, e chilum intarsiati lunghi quattro metri e venti.
L'alba estiva arriva presto, e sveglia tutti; i ragazzi ripartono di corsa, gridando e ridendo.

Il topo Giulio rimane, tutto impegnato a far colazione nel suo deposito di semi selvatici, e, se andate a trovarlo, è ancora lì.

FINE