lunedì, agosto 30, 2010

CRIC




C’era una volta un ragazzo che, come tutti i ragazzi, viveva da re nel suo mondo ed era alieno da tutto ciò che non fosse se stesso; amava collezionare insetti, vivi, che rinchiudeva in barattoli trasparenti. Ogni tanto li passava in rassegna, li scuoteva, toglieva i morti, stuzzicava i più belli.


Così, quando quello strano insetto dai riflessi viola cominciò a girargli intorno, fu subito chiaro che un barattolo era pronto per essere riempito. Quel che il ragazzo non sapeva era che quel particolare e singolare insetto era un insetto magico, in visita sulla terra con delle specifiche missioni, e come mai avrebbe potuto indovinarlo, sordo come era ad ogni voce che non fosse la sua?


Per catturarlo mise in campo tutte le sue astuzie; per quanto l’ insetto si ostinasse a frequentare lo stesso prato del ragazzo, infatti, non era fra le sue missioni quella di esser catturato, per questo aveva la facoltà di poter fuggire da ogni reclusione, di poter rinascere più e più volte, di rigenerare ogni sua parte mancante.
Il ragazzo lo blandì con canti da sirene, lo avvolse in una luce d’amore intensa quanto fasulla, lo chiamò con tanta cortesia e con tanta dolcezza che quello alla fine cedette e, dimenticando i suoi scopi, si fece rinchiudere. Sull’etichetta c’era scritto “Cric”, non conoscendo il ragazzo il suo vero nome, composto di seicentododici sillabe tutte d’oro.


Ogni giorno Cric aspettava che il ragazzo lo venisse a guardare, nella sua triste prigione. Ogni notte lo giustificava e rimandava l’ evasione, fidando in un’alba migliore e nelle attenzioni del suo padrone. Visse così per mille giorni, continuando a spandere magnifici riflessi viola sul suo piccolo mondo.



Ahimé le attenzioni giungevano, sporadiche, semisadiche, distratte. Che c’era qualcosa di strano il ragazzo se ne era accorto. Una volta si era divertito a mettere nel suo barattolo un altro insetto, corazzato e spietato, e a guardarli combattere; quando il coleottero era riuscito a mutilare Cric, lo aveva precipitosamente tolto. Il giorno dopo, la zampa mancante era lì, nuova, vibrante, sgargiante di riflessi viola, ma il ragazzo non ci aveva riflettuto, perché quella mattina aveva da perdersi nell’osservazione di una nuova mantide.



Il milleunesimo giorno Cric si svegliò con la fresca memoria di un sogno che lo richiamava a se stesso; e per tutta una giornata stette fuori dal barattolo, in altri mondi, e sistemò un bel po’ di cose arretrate. Proprio quel giorno il ragazzo aveva deciso di molestarlo, perché si annoiava, e non trovandolo si era scervellato a cercar di capire come fosse uscito dal barattolo ancora chiuso. Quando la mattina seguente lo trovò lì, addormentato sul fondo, fu preso da rabbia e cattiveria, perché coloro che vedono solo se stessi non possono capire il mistero, e incontrandolo si crogiolano nei loro peggiori sentimenti; fatto sta che Cric fu dato in pasto ad un camaleonte grasso come un ippopotamo e cattivo come la fame.



Mentre sdraiato sul prato si baloccava nel pensiero a ricordare le povere zampette che scrocchiavano spuntando dalla camaleontica bocca, Cric, più nuovo e più viola che mai, gli girò intorno; lo baciò in un orecchio, lo carezzò sulle spalle, lo inondò di raggi viola e andandosene per sempre da quel prato lasciò mille e una controfigure del tutto virtuali perché il ragazzo potesse continuare a sfogare il suo malessere senza far male a nessuno.



Così è, se vi pare. E anche se non vi pare.

giovedì, agosto 12, 2010

C6 - affondato - no even the cats will know, never more

Arrabal
riemergo dai sogni - ci sei
mi alzo ed alzo un delirio di niente
né droghe né botte né urla
silenzio di solitudine la notte
finestre chiuse coma metropolitano
dalle una alle quattro affogati nel nulla
spalanco gli occhi come se ci fosse la guerra
- ci sei - dall'altra parte del nulla
una maledizione un vuoto un vetro rotto
- ci sei - vivi altrove brilli idee stupide
- ci sei - se tu non ci fossi
e più ti nego di essere e più rimuovo
o più mi arrendo e più mi piego
e comunque sempre uguale - ci sei -
lì nel vuoto incomunicabile che un film degli anni sessanta
in confronto era una botta di vita - e se mi provo
infastidito retratto esausto - a lasciarti nel pensiero - mi azzardo -
din din - ci sei - falsa e vigliacca senza alcun moto umano
mi ricordi che esisti come una punizione a tempo
non così ti avevo pensata non così ti ho
rimango infilzato nel tuo spillo come un insetto
un inutile insetto mi sento dentro a un barattolo

I.P.S.

martedì, agosto 10, 2010

"Impressioni d’Africa" di Enrico Baj, acrilico su feltro, 1997

Baj coi generali faceva collages















                  "Impressioni d’Africa" di Enrico Baj, acrilico su feltro, 1997







Al Castello Pasquini la retrospettiva dell'artista milanese

FIORELLA MINERVINO
CASTIGLIONCELLO
Sembra di vederlo Enrico Baj aggirarsi là, fra le sale del Castello dove un tempo sorgeva la casa di Diego Martelli (il critico d’arte dei Macchiaioli, promotore dell’Impressionismo in Italia). Ovviamente con la risata fragorosa che gli rimodellava il volto, il gusto del gioco, l’ironia corrosiva come istituzione permanente, l’intelligenza acuta, ma anche la denuncia perenne dell’arroganza e tracotanza del potere, l’amore sconfinato per l’arte e la sua storia.

Enrico Baj era questo e altro come racconta l’avvincente omaggio, curato da Luciano Caprile e dall’amata moglie Roberta Cerini Baj, che allinea 77 opere in 6 sezioni per riassumerne l’avventura artistica. A partire dal 1951, allorché con Sergio Dangelo fondarono il Movimento Nucleare, sulla scorta della guerra mondiale e delle paure della catastrofe atomica. Un universo devastato, attraversato da incubi, dove gli umani annullati si trasformano in larve da incubo, come in Due figure atomizzate, 1951, olio su tela o Vangatori della luna, 1955. Maestro di metamorfosi è capace di trasformare materia, forme, colori, in collages usando materiali diversi: fra colature e umori crea un mondo di umanoidi o esseri zoomorfici.

Affiora sovente il volto-maschera di Baj, ovvio nell’Autoritratto del 1956 dove emerge dalla materia informale, o fa capolino sin in Zia Vannia 1955, con singolare uso del collage. Seguono Montagne: occhi e volti si impongono nel magma che pare sommuovere la tela. Non mancano i celebri Generali, memori dall’«Ubu roi» di Jarry, simbolo d’arroganza e tracotanza del potere, sovraccarichi di medaglie e decorazioni fino al «decoro decorato» come lo definisce l’artista. Gran Generale, olio su stoffa, del 1961, e l’efficace e grottesco «Géneral se promenant avec son petit chien», 1960, sono esempi illuminanti di quel creare per assurdo e che diventa satira del costume. Ad evocarglielo erano stati Parigi e gli amici surrealisti e lui lo sviluppò con straordinaria inventiva per colpire la «pornografia del potere».

Impiegò di tutto per creare questi suoi Generali: nappe, lustrini, passamanerie, specchi, paillettes e altro, come in Zita de Bourbon-Parme, Impératrice d’Autriche, collage su tavola del ’75, e nei due successivi inquietanti generali. Mobili, meccani, specchi, lego, plastiche riflettono l’attenzione ai materiali diversi, al comporre, scomporre per farne altro, trasformando i valori. Là dove materia e figura si uniscono e fondono sono Maschere tribali e Totem, legni, acrilici, oggetti (scaturiti dalla conoscenza di Claude Lévi-Strauss), meditazioni profonde sull’uomo dai primitivi ai giorni nostri, una mescolanza fra le visioni africane del Doganiere Rousseau e Les Impressions d’Afrique di Raymond Roussel. Un video completa il ritratto di questo fantastico inventore di immagini, scrittore, appassionato di letteratura e Patafisica, come spiega il catalogo (Skira).

BAJ: DALLA MATERIA ALLA FIGURACASTIGLIONCELLO (LI), CAST. PASQUINI
FINO AL 26 SETTEMBRE

lunedì, agosto 02, 2010

Blog della Facoltà di Tetrapiloctomia dell'Alma Universitas Taurinensis

logo immaginario. ogni riferimento al logo dell'università di torino è puramente casuale. si legga in proposito il disclaimer (click)












Benvenuti nel blog della
Facoltà di Tetrapiloctomia dell'Università di Torino.

In questo spazio virtuale telematico condivideremo brevi elaborati scritti: visioni, intuizioni e suggestioni della Facoltà di Tetrapiloctomia. Vi scoverete un insieme di citazioni; pigrizie del pensiero; di metafore; menzogne dell’emozione; d’incredulità;  mistificazioni dell'informatica; pigrizie della speranza.
L'invito ovviamente è a leggere e commentare; ma anche, perchè no, a tenerci d'occhio per non mancare gli imperdibili appuntamenti che vi proporremo.
La Tetratricoctomia, detta anche Tetravillotomia, o appunto Tetrapiloctomia, fu inventata da Umberto Eco
nel 1988, e da quel momento ha trovato diverse applicazioni nel campo della Sodomocinesica, della Scleropatomittenza e della Pilocatabasi.
La Facoltà di Tetrapiloctomia è un'organizzazione studentesca a carattere informale, fondata nel 2006 da un gruppo di Esimi Patafisici della Facoltà di Lettere e Filosofia. 
Dopo un anno di ozi e pilocatabasi, hanno deciso di tornare alla ribalta. E possono certo dire realizzato quest'obiettivo: rappresentano infatti una delle Facoltà di Tetrapiloctomia più prestigiose al mondo, in quanto la sola e l'unica.
Al giorno d'oggi la Facoltà di Tetrapiloctomia ha organizzato diversi seminari all'interno e all'esterno dell'Ateneo, ed è applicata in un avanguardistico progetto di ricerca nel campo del WEB 2.0. Attualmente all'Università di Torino sono all'attivo i seguenti corsi:
Cosmogonia Applicata; Patafisica Quantistica; Scleropatomittenza; Teurgia

La mail art e le altre avanguardie del Novecento

Il saggio di Stewart Home “incastra” ad uno ad uno i principali movimenti artistico-politici del XX secolo

Lo “Stato del caos” emette francobolli, per giunta espressi in… n-euro? A giudicare dalla copertina del libro “Assalto alla cultura” si direbbe proprio di sì.
Scritto dal quarantottenne britannico Stewart Home, in 160 pagine con illustrazioni (14,90 euro) il volume si occupa dei movimenti artistico-politici del Novecento. La loro storia -precisano dalla Shake edizioni- “è ricca di manifesti anarchici e costellata di personaggi affascinanti e turbolenti, spesso riconducibili -e non solo idealmente- alle attività dei gruppi politici ultraradicali”.
Con un linguaggio immediato e irriverente, l'autore “rintraccia il fil rouge che lega insieme le diverse avanguardie posteriori al Surrealismo, fornendo un resoconto dai colori vivi delle vicende di Cobra, del Lettrismo, dell'Internazionale situazionista e di Fluxus, della Patafisica e della Pittura industriale, dei provo olandesi e degli hippie americani”. Fino ad abbracciare fenomeni più specifici, come appunto l'arte postale.