giovedì, febbraio 24, 2011

Enrico Baj e la Patafisica

Enrico Baj e la Patafisica

“Siamo contrari a quel brutale populismo che vediamo trionfare in tutto il mondo grazie agli slogan pubblicitari e ai media.

Noi siamo al di fuori di queste cose e quindi combattiamo il fanatismo, la massificazione, comunque avvenga, e il lavaggio del cervello operato sistematicamente.

La Patafisica, per dirla in due parole, coltiva invece tutte le soluzioni immaginarie possibili alle quali si può giungere attraverso il paradosso, l’ironia, il kitsch, la dissacrazione, l’assurdo e la megalizzazione dei fenomeni e la loro enfatizzazione, per renderli più evidenti e immediatamente percepibili.

In fondo la Patafisica, come l’arte e come l’anarchia, difende il principio della libertà e della libertà esistenziale e raccomanda proprio l’immaginario della fantasia quale migliore arma di difesa per preservare almeno l’autonomia del nostro pensiero.”

Testo di Enrico Baj tratto da La Patafisica, ed. Abscondita, Milano, 2009.
Opera di Enrico Baj

“A vida è a arte do Encontro”, i contempora​nei in mostra il 27 febbraio

ARTE | Paestum
- "A vida è a arte do Encontro" scriveva il poeta Vinicius de Moraes e Sergio Vecchio ci rende partecipi del suo intimo viaggio sentimentale, artistico, tecnico, riaprendo le porte dell' Archivio-Laboratorio di Paestum, sito presso l' Azienda Agricola Biologica Orlando Mandetta – Via Ponte Marmoreo, 63, domenica, 27 febbraio, alle ore 10,30 per la prima tappa di un lungo percorso, nel corso del quale "incontreremo" gli artisti che hanno lasciato una traccia indelebile nella sua formazione, nella sua vita.
Una scelta di quadri, disegni, questa selezione inaugurale di Sergio, fruibile sino al 27 marzo, che trasmette un gusto profondo, un tratto ed un punto di pensieri passati e allo stesso tempo attuali, associati a quella dimensione piacevole del viaggio, all' incedere di cose e persone, con cui inspiegabilmente, ci si trova a condividere più di quanto tu possa immaginare, uno stato d'animo, una tensione dello spirito, prima ancora che un modo d'essere, in quell'incessante scoperta che deriva dall'arte. Sergio ci farà incontrare il suo maestro all'Accademia di Belle Arti di Napoli, Crescenzo Del Vecchio Berlingieri, un artista che ha saputo caratterizzare profondamente il rapporto umano e sociale tra arte e territorio, genio eclettico e ironico, legato fortemente alla memoria e alle radici contadine, ma al contempo innovatore, pervaso da uno spirito di ricerca continua verso le nuove sintesi formali dell'arte, e ancora Lucio Del Pezzo e il suo amore nei confronti dell'architettura e delle leggi che la guidano,Riccardo Dalisi, l'architetto rivoluzionario con i suoi laboratori d'arte nei quartieri a rischio di Napoli, Fulvio Irace, rappresentato da due pezzi simbolo delle multiformi e caleidoscopiche espressioni della sua opera, un mondo poetico, coinvolgente, un inno alla creatività e alla capacità di trasformare i materiali più poveri in preziosa materiali più poveri in preziosa materia per l'immaginazione e l'anima. Incontreremo ancora, l'artista di Terzigno, Salvatore Emblema, che ci affascinerà con il suo materialismo organizzato della tessitura su cui interviene con il suo caratteristico segnismo e attraverso la sottrazione dei fili dalla trama di juta, del quale è ricoperto un suo catalogo, Mimmo Paladino, il "collezionista di indizi", per dirla con un epiteto caro a Benjamin, che preleva frammenti dalla realtà e li ricontestualizza, generando molteplici catene di significato, articolazioni e nessi imprevedibili, schizzando un suo mondo che trae sostanza da un'immaginazione produttiva, capace di reinventare e sbalordire, aprendo una dimensione intima dello spirito, nella quale l'unica regola è dettata dall'intuizione; o il colore mediterraneo di Michele Damiani, sino alla pittura di Angelo Noce con le sue proprietà alchemiche suggerite dalla vergatura arcana, dai colori e dalle attinenze con le materie lavorate. Sergio Vecchio c'introdurrà ai segreti della patafisica di Mario Persico o alla luminosità metallica dell'ingegnere Angelomichele Risi, sino al miscuglio dolce e severo di colori che dipinge il mondo bizzarro e soffocante di Armando de Stefano, o al segno da incisore di Vittorio Avella. Sergio si è imbattuto anche nel segno dalle plurime dimensioni, plurali maestrie nel fare e costituire il corpo d'immagine di Renato Barisani, che concepisce come un ordine celato di natura che ne tiene in ciascuna la misura, la bellezza dell'ordito, forme-informi che mostrano attingere alle trame virtuali e amorfe della vita naturale, o nella concezione visuale dell'arte di Nanni Balestrini. Una delle opere in mostra affettivamente più cara a Sergio Vecchio è certamente una tavola che l'indimenticato Gelsomino D'Ambrosio creò per offrire una copertina al libro composto a sei mani da Alfonso Amendola, Alfredo De Sia e dallo stesso Sergio "TantiTitani" Scritture di Ritmi Ineguali, con la prefazione dell'amico Marco Amendolara, drammaticamente recitato, dopo che qualche bicchiere di vino aveva eliminato ogni freno inibitorio, dai tre autori. L'ultimo artista che presenterà Sergio è un assoluto debuttante, il poeta Rino Mele, il quale si rivelerà attraverso un linguaggio diverso, i suoi schizzi, attitudini consapevoli e non, apparse in un momento di astrazione dalla situazione che ha vissuto nello studio o in casa di Sergio, magari l'ascolto di una conversazione, l'attesa della scintilla per cominciare a riempire di parole un foglio bianco, l'incantamento: le annotazioni, i famosi disegnini sulle copertine di un libro, su di un foglio di musica, diventano sempre più personali e una raccolta di schizzi si trasforma, in questo modo, in un vero e proprio brogliaccio, in cui il linguaggio per immagini, frenetico ma, comunque, forma di elaborazione interiore, comunica in maniera molto coinvolgente, poiché comune un po' a tutti noi, apparendo come il frammento di un diario immaginativo, spesso ininterrotto: spazio di prima e continua sperimentazione.

sabato, febbraio 12, 2011

ENRICO BAJ dal 12 febbraio a La Spezia

La Spezia - dal 12 febbraio al 19 marzo 2011
Enrico Baj - Manichini 1984 -1987
La Costruzione del mondo - 1987, acrilici su tela , 80 x 60 cm
 
GALLERIA MENHIR ARTE CONTEMPORANEA
Via Alessandro Manzoni 51 (19121)
+39 0187731287 , +39 0187731287 (fax)
info@menhirarte.com
www.menhirarte.com

Sabato 12 febbraio 2011 la Menhir Arte Contemporanea apre una monografia di opere di Enrico Baj dal titolo “Manichini 1984 - 1987” a cura di Luciano Caprile
Depliant a disposizione con "Note" di E.Baj e testo di Luciano Caprile.
I dipinti presentati all’ Arte Fiera di Bologna , sono 12 opere, tutte acrilici su tela, prevalentemente di grandi dimensioni.

“[…]Sono paesaggi di natura cubo-futurista, strutturalista, costruttivista piuttosto, irti come appaiono di costruzioni: cubi e parallelepipedi si slanciano verso l’alto spesso ad aprire una specie di arco immaginario, come in una fotografia fatta con un supergrandangolo, meglio con il fish-eye. È uno spazio curvo, ampio, che tende alla vertigine dell’infinito: non è lo spazio dell’attuale metropoli, ma quello della megalopoli futura.[…]” Enrico Baj.

“[…] Le combinazioni architettoniche che sintetizzano le varie scene alludono ora al paesaggio statunitense, in particolare alla Grande Mela ( New York, New York ) capace di accogliere sotto le arcate volte annotazioni mitologiche ( Teseo a Manhattan e Pandione e Zeuzippe ) accompagnate da presenze di sifoni e di lavandini che da un lato rimandano alle “tuberie” di farfiana e patafisica memoria e da un altro lato anticipano certe contaminazioni di carattere idraulico che interesseranno le “dame” del suo ultimo periodo creativo.[..]” Luciano Caprile
 


fonte: http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp?idelemento=103537

domenica, febbraio 06, 2011

L’oscuro e la follia: una serata per sfasciarsi la testa


Fonte: http://www.atlantidezine.it/patafisica-oscuro-follia-una-serata-per-sfasciarsi-la-testa.html by Piera Lombardi

giovedì, febbraio 3rd, 2011. 
“I sani sono malati che s’ignorano.”
Jules Romains, Knock o il trionfo della medicina, 1923
 
Se ne siamo capaci, chiediamoci perché “le curve diagrammatiche delle malattie mentali sono in paurosa ascesa” (la citazione è tratta dal libro Patafisica di Enrico Baj). O perché le psicopatologie alimentano l’industria farmaceutica che a sua volta stimola la nascita di nuovi disturbi, ego centrati e monomaniacali in fin dei conti, che impegnano gli psichiatri in dissertazioni e teorie di nuovo-vecchio-nuovo conio e ci inquadrano bene nella cornice funzionale al sistema. La catena si autoalimenta e trascina nel gorgo un’umanità che, pur avendo conquistato la posizione eretta da un bel pezzo, vegeta e non vive. Tutto questo accade probabilmente perché abbiamo dimenticato la nostra vera natura: siamo entità “patafisiche”, ovvero scienziati dell’immaginazione, del gioco, del dritto e del rovescio, delle antinomie e delle contraddizioni e insieme siamo estensioni illimitate; abbiamo dimenticato che la vita è esperienza patafisica integrale, ascesa e abisso. Alcuni non lo hanno dimenticato, non lo sanno affatto né intendono saperlo, né ora né mai, perché troppo affaccendati a praticare l’odio al quadrato, disprezzare, ridursi allo stato larvale. Che roba è questa patafisica, si dirà? La patafisica è “la scienza di ciò che si trova oltre la metafisica. […] Essa studia le leggi che governano le eccezioni e spiega un universo supplementare a quello in cui ci troviamo noi; oppure, meno ambiziosamente, descrive un universo che si può vedere – si deve vedere, forse – al posto di quello tradizionale”. Questa la definizione del suo “scopritore”, Alfred Jarry che la rivelò al mondo con la sua rivoluzione teatrale grazie all’invenzione di Ubu Roi e del dottor Faustroll, anche se si, ecco, appunto, la patafisica è sempre esistita, sia pure inconsapevole e non codificata. È una disposizione d’animo, un sentire, quindi una corrente dell’essere che va verso la vita, contrasta gli apparati di potere che ci vogliono tuberi da poltrona, dadi ristretti, in transito da loculi provvisori al loculo definitivo. “È una disciplina e un’arte che permette a ciascuno di vivere come un’eccezione e di non illustrare altra legge che la propria” (ancora Enrico Baj) Nel deserto civile e morale, il piccolo teatro patafisico di Palermo è un’occasione per ricordare chi siamo. Più che uno spettacolo, L’oscuro e la follia è un itinerario già percorso che sarà proposto stasera negli spazi della chiesa sconsacrata e restaurata di San Giovanni Decollato a Palermo. La follia come condizione “patafisica”, di chi coglie l’orrore del mondo e si spinge fino al limite della condizione umana. Li chiamavano alienati una volta, i pazzi: i veri alienati sono i “normodotati” furiosamente inconsapevoli dell’assurdità della vita e dell’organizzazione umana. “Il sano è un malato che si ignora”, suggeriva giustamente lo scrittore Jules Romains. Da lì la pericolosità dei sani. L’evento è una perlustrazione patafisica nell’arte e nella letteratura, patafisiche nell’essenza, partendo dalla constatazione che, “se come diceva Savinio, i poeti hanno il potere di fare volare anche le vacche, i pittori in quanto a voli pindarici non sono da meno” (ancora Enrico Baj) e volando nella impassibilità gioiosa hanno svelato il gioco arbitrario delle società e della vita.
Il viaggio indaga il rapporto tra la follia e l’arte nei tempi della storia umana, grazie ad artisti e letterati che hanno sondato i territori in cui l’uomo è veramente tale, usando tecniche di svelamento della verità che sono patafisiche per antonomasia: sorpresa, capovolgimento, allucinazione, empietà, oscenità, desiderio di scandalizzare, oltraggio, superamento di ogni limite. A proporre una sequenza di immagini di opere artistiche è Francesco Andolina (ideatore del percorso), storico dell’arte, esperto di arte contemporanea e membro di Salvare Palermo. La serata è l’ultima di una lunga serie e segue altre riguardanti “Kronos nell’arte”, “L’Eros nell’arte”, “Serata futurista”. La sequenza è intramezzata da brani letterari scelti e letti dall’attore Francesco Giordano che lavora anche  sul rapporto tra il verso e la musica grazie al supporto di alcuni musicisti: Milici, Mauro Schiavone, Eleonora Tabbì, Mauro Cottone (maestro di violoncello e allievo di Sollima) che sottolinea le parole e le immagini con musiche scelte da lui (Strindeberg, Shonberg) e,spesso, composte appositamente. Insomma si assiste a una particolare ”lectio magistralis” trasformata in un gioco, perché è un concentrato di patafisica. Gran cerimoniere di questa liturgia che tiene insieme l’evocazione in scena di figure lontane nel tempo e nello spazio è Antonin Artaud e la sua opera “Van Gogh, il suicidato dalla società” che così comincia tanto per cogliere il senso del non allineamento all’ordinaria vita vegetativa: “Parliamo pure della buona salute mentale di Van Gogh il quale, in tutta la sua vita, si è fatto cuocere solo una mano e non ha fatto altro, per il resto, che mozzarsi una volta l’orecchio sinistro, in un mondo in cui si mangia ogni giorno vagina cotta in salsa verde o sesso di neonato flagellato e aizzato alla rabbia, colto così com’è all’uscita dal sesso materno. E questa non è un’immagine, ma un fatto abbondantemente e quotidianamente ripetuto e coltivato sulla terra intera. Ed è così, per quanto delirante possa sembrare tale affermazione, che la vita presente si mantiene nella sua vecchia atmosfera di stupro, anarchia, disordine, delirio, sregolatezza, pazzia cronica, inerzia borghese, anomalia psichica (perché non l’uomo, ma il mondo è diventato un anormale), di voluta disonestà ed esimia tartuferia, di lurido disprezzo per tutto ciò che mostra di avere razza, di rivendicazione di un ordine fondato interamente sul compiersi di una primitiva ingiustizia, di crimine organizzato, insomma”.
Tra i pittori “presenti” alla serata Goya in cui l’oscuro intuito è percorribile nei binari dell’onirico, i surrealisti (Max Ernst e Magritte) che utilizzavano  la trance come varco a un universo parallelo; quei maledetti artisti dell’Espressionismo tedesco (Kokosha). Tra i frequentatori dell’oscuro evocati, la frangia provocatoria degli artisti della body art che arrivano a utilizzare il corpo per fare esplodere ogni regola. Una girandola vorticosa di immagini, dall’antichità  fino al “supermasochista”  Bob Flanagan (1989) passando per  Michelangelo, Durer, Rodin, Hugo Van der Goes, Bosch. La body art segna il traguardo estremo della provocazione fino al ribrezzo: Valie Export che utilizza il suo corpo come oggetto per irridere il voyerismo maschile; Marcel Roca che fa delle performances in cui il corpo dell’artista è un apparecchio e lo spettatore cliccando su di esso crea la sua opera “senza sporcarsi le mani” in un misto di piacere e tortura; Rudolf Schwarzkogler, uno dei più controversi rappresentanti dell’attivismo viennese, ha che martirizzato il suo corpo in performances estreme fino all’auto castrazione per manifestare la repressione e crudeltà dello stato borghese, ed è morto suicida; John Duncan, esploratore dei limiti psicofisici dell’individuo, al di là di ogni restrizione morale, intendendo il corpo come punto di conflitto di forze. La follia come gioco, corruzione dell’anima, ma anche profonda esperienza dello spirito: oltre l’oscuro territorio tra delirio e violenza, la follia può essere la chiave d’accesso all’estremo confine della natura umana.
Ambivalenza che il mondo antico conosceva, Infatti i brani letterari scelti vanno dall’ Aiace di Sofocle, all’Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam, alle lettere della povera Camille Clodel , amante di Rodin, lasciata a marcire e morire dalla famiglia in manicomio per 30 anni,  all’intervista inquietante di John Duncan che racconta della scelta di avere un rapporto sessuale con un cadavere.  Discutibili scelte artistiche, persino raccapriccianti, ma che obbligano a sovvertire i catorci assemblati nelle teste e a dilatare lo sguardo oltre la censura preventiva. Chi è folle e follia cosa è? Scriveva Artaud ne “Il suicidato della società”: “C’è in ogni demente un genio incompreso: l’idea brilla nella loro mente sgomenta. Solo nel delirio possono trovare una via d’uscita agli strangolamenti che la vita ha predisposto per loro. La società ha al suo attivo le celebri morti di Villon, Baudelaire, Nerval, E.A. Poe di cui nessuno fino ad oggi ha mai seriamente pensato di chiedere conto, ma nella galleria delle morti scandalose ne esistono altre di un nero particolarmente lugubre, di un nero particolarmente scandaloso e costernante, sinistro e lugubre…” Il nero dei corvi, i corvi di Van Gogh. Suicida suicidato.