domenica, febbraio 15, 2009

Il ladro di biciclette e il debitore patafisico

L’infelice Jarry avrà mai avuto un momento di felicità nella sua vita? Non è dato saperlo, anche se davvero sembra felice in una famosa fotografia del 1898 (riprodotta in copertina) nella quale è ritratto in sella a una bicicletta sportiva, nel paese di Corbeil, a sud di Parigi, dove trascorse alcuni periodi estivi assieme ad amici. Nella foto la felicità è discreta, celata da un volto indifferente, ma è presente, si palpa. E la causa non sembra tanto il luogo in cui egli si trova quanto la bicicletta che inforca: una Clément de luxe 96 course sur piste, del valore al nuovo di 525 franchi. Jarry la inforca con delizia per varie ragioni: perché ama la bicicletta in sé, come miracolo meccanico, come oggetto che gli permette di muoversi, ma anche perché gli è costata pochi franchi.
Per lei ha continuato a rinnovare cambiali, con progressivo aumento degli interessi, ma senza mai saldare il conto. Una bicicletta che è all’origine della maggiore vertenza giudiziaria della sua vita. Tutto comincia a Laval, cittadina nativa di Jarry alle porte della Bretagna, e precisamente al numero 12 del viale Jean-Fouquet, dove s’illuminano le ampie vetrine di “Trochon-Vélo”, negozio di macchine da cucire e biciclette. Un abbinamento che indica come a quei tempi fosse l’analogia meccanica – e non funzionale – ad accostare gli oggetti.Il negozio è gestito da un buon uomo, il signor Jules Trochon, figura anonima, tranquilla, che non lascia storia e che sembra aver avuto una sola grande sfortuna: incontrare sul suo percorso Jarry. La storia della bicicletta inizia il 30 novembre 1896, esattamente dieci giorni prima che Ubu Re vada in scena a Parigi e che Jarry aggredisca il pubblico col famoso «merdre!». Quel giorno egli entra da “Trochon-Vélo” con l’idea precisa di uscirne dotato di una bicicletta bella, anzi bellissima. In quegli anni una comune bicicletta si acquistava con 100 franchi, e invece Jarry sceglie la Clément de luxe, il meglio che il mercato offra: un oggetto dal telaio leggero, con ruote sportive e manubrio da corsa, senza parafanghi e luminarie, del costo di 525 franchi.
Entra nel negozio, s’innamora di quel miracolo meccanico e se lo porta sulla strada senza aver pagato nulla. Ha solo firmato alcune cambiali. Ma non basta: alla bici manca secondo lui quel particolare che la può rendere splendida: i cerchioni in legno. E così tre mesi dopo, nel febbraio 1897, entra di nuovo da “Trochon-Vélo” e si compera due cerchioni in legno del valore di 20 franchi. Più che comperarseli, se li porta a casa, perché anche questa volta non paga e firma una cambiale. Sta di fatto che li monta al posto dei cerchioni originali e rende così la “sua” bicicletta ancor più bella.





Ladro di biciclette - Cent’anni di Alfred Jarry di Antonio Castronuovo


Collana Di Antonio Castronuovo. 27 Gennaio 2009

da http://www.stampalternativa.it/wordpress/2009/01/27/il-ladro-di-biciclette-e-il-debitore-patafisico/

venerdì, febbraio 13, 2009

Renzo Francabandera, 10 febbraio 2009, 11:53

Teatro Al Piccolo Teatro "Sulla strada ancora" un happening che mescola la realtà con l'immaginazione: monologhi, poesie, barzellette nella cronaca fantastica della caduta e della risurrezione di uno degli artisti italiani più amati, protagonista di un'epoca della satira italiana. Che ancora dura: l'artista (se dio vuole) e anche l'epoca (purtroppo)
Che stupide le parole della coronaca o del ricordo quando si deve dire di uno spettacolo che mescola il personale al teatrale. Questo viene in mente dovendo dire due cose sullo spettacolo di Paolo Rossi al Piccolo di Milano (regia di Renato Sarti), che prende spunto dalla storia di un suo lavoro mai andato in scena, Ubu Re d'Italia.
Per debolezza. O crisi personale. Per la stessa ragione del viaggio: viaggiare.

E per quella stessa ragione trovare la forza di issare le vele e riprendere il mare, o la strada, per scegliere la metafora che l'artista ha scelto per parlare di questa che, a sentire gli eventi che hanno portato a questo spettacolo, potrebbe essere la cronistoria un po' tremolante e balzana della sua seconda vita.

Se mai esistesse un'Itaca dell'arte, alcuni anni fa Rossi, dopo aver vagato nel mare libero della scena e della tv, incrociando la sua strada con Strehler, Fo, Jannacci, Gaber, ci si era avvicinato.Poi, stando a quanto racconta della sua messa in scena abortita, l'otre dei venti si è aperta, rispedendolo in altissimo mare, dove le intenzioni si confondevano alle voci di sirena, d'uomo, di donna, a volte di trans!

Le difficoltà di superare le sue fragilità, la crisi artistica conseguente e l'impossibilità di riuscire. Da questo parte il racconto, che lambisce scogli di Shakespeare ed echi di Gaber, che rilegge Jarry e ricorda, dopo gli applausi, Gianni Palladino e con lui le presenze a volte meno appariscenti ma cruciali nel viaggio di ognuno.

La permanenza di Paolo Rossi nello spazio della Scatola Magica del Teatro Strehler fino al 22 di febbraio è stato accolta con grandissimo entusiasmo da un pubblico che lo ama molto, non solo come artista ma anche come interprete di un disagio e di uno smarrimento che è il nostro. Tutte le sere tutto esaurito. E una replica straordinaria il 30 marzo prossimo nella sala grande dello Strehler. Per ritrovare non un altro, ma quello stesso di prima, quello che allude e lascia che la battuta ti si sciolga in testa come un gianduiotto in bocca. Il dolce e l'amaro.

Quello a metà fra poetica e politica, quello che si trova nell'assurdo della vita a cercare di non spiegarlo. E cos'altro è questo, se non proprio uno straordinario esercizio di patafisica, "la scienza delle soluzioni immaginarie e delle leggi che regolano le eccezioni" come la definì lo stesso Jarry, la pratica delle eccezioni rispetto alle teorie: l'eccezione che conferma la regola o che la manda, con un sorriso, a fanculo.

Come per Jarry, così anche per Rossi la prassi scenica è una maniera personale ed anarchica per spiegare l'assurdità dell'esistenza.

E quindi questo riavvicinamento all'Itaca dell'arte per altra via, per altra strada, di un Rossi uguale a prima ma anche più consapevole della debolezza che è racchiusa nell'esercizio della forza e della forza che può nacere dall'indagine sulla debolezza, porta l'artista a perdere, con più tranquillità, di vista la meta per cercare se stesso nel percorso, nella via, nella strada.

Per la stessa ragione del viaggio: viaggiare.

Jarry: l'incantesimo forsennato
Dal videoteatro al multimediale, il genio che ha rivoluzionato la scena

alfonso amendola

Un nome con costanza attraversa l'universo performativo: Alfred Jarry. Ed anche lo spazio del videoteatro vive rievocando, citando ed omaggiando il grande francese.

Dalle video-azioni multimediali di Surveillance Camera Players (dal forte sapore situazionista) ai lavori di videoscena di Enzo Mirone ai cultori delle azioni patafisiche, senza dimenticare che una rara "apparizione" teatrale di Jean Baudrillard era nel recente Ubu Roy di Giancarlo Cauteruccio (dove trovavamo il "teorico della seduzione" perduto in un segno audiovisivo che guidava la scena con un suo ennesimo diktat: "il principio è quello di esagerare, è in questo modo che la realtà viene demolita"). L'occasione per noi è fondamentale per ricordarlo questo grande "demolitore". Altro grande magister che ha anticipato la nostra contemporaneità ed i flussi del tempo futuro. Ci sono alcune fotografie (tanto rare quanto preziose) che ritraggono Alfred Jarry in bicicletta. Mi piace immaginare il "re" della patafisica a bordo della sua cyclette mentre si perde e si ritrova per strade, stradine, calli, quartieri e rioni di Parigi (della sua Parigi). E mi piace una sorta di "fondazione del pensiero patafisico" di Jarry (del suo teatro gioiosamente ribelle, del suo immenso sorriso da maschera e del suo profanare il vero con un ennesimo assalto visionario) proprio negli attraversamenti sulle due ruote di una bicicletta (un mezzo che sarà caro in diversi stilemi ed utilizzi creativi a Marcel Duchamp, Samuel Beckett, John Cage giusto per dare qualche nome e giusto per sprigionare ulteriori orizzonti visionari).

Alfred Jarry (Laval 1873- Parigi 1907) con la sua trilogia dedicata al violento e parodistico Ubu (Ubu Roi, 1896, Ubu enchainé, 1900 e Ubu cocu pubblicata postuma nel 1944) realizza una delle maggiori operazioni di radicale rinnovamento della scena teatrale dalla prorompente matrice antirealistica, voracemente simbolista e spietatamente grottesca che, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, saranno alla base dei successivi procedere del surrealismo, del futurismo e di tantissimi autori della grande Avanguardia (Antonin Artaud su tutti, che nel 1926 fonderà il Teatro Alfred Jarry, per poi continuare con Vitrac, De Chirico fino ad arrivare a Dario Fo e molti altri). E così questo solitario ed immaginifico visionario, cresciuto nel versificare di Rimbaud, Mallarmé e Apollinaire, ancor oggi ci indica un irriverente viatico per avvicinare, assaltare e reinventarla in blocco la scena teatrale, videoteatrale e multimediale. In Jarry una giocosa blasfemia (il suo primo lavoro teatrale del 1895 è César Antéchrist) ed una potente visionarietà della patafisica "ovvero la scienza delle soluzioni immaginarie" (Etre et Vivre del 1894 e Gestes et opinions du docteur Faustroll, pataphysicien, postumo 1911) perfettamente si fondono attraverso una scrittura (che sappiamo anche essere dimensione esistenziale) voluttuosa, immensamente plastica, linguisticamente inventiva e trionfante. Una scrittura, inoltre, che ha dentro di sé un senso del ritmo e del montaggio che sembra di gran lunga anticipare le tensioni letterarie mediali e cinematografiche (si veda almeno la raccolta di scritti giornalistici Speculations, anche questa pubblicata postuma nel 1911).

La "visione divergente" della patafisica teorizzata e praticata da Jarry non è soltanto un'estrosa provocazione fine a se stessa, ma è un vero e proprio assalto al mondo e alle cose. Un assalto compiuto con allegro ritualismo tribale e carnale desiderio di rinascita delle forme dell'agire scenico. Precipizio del naturale.

Tensione del divenire a matrice corale.

Astrazione del movimento.

Moltiplicazioni degli spazi e fuoriuscite sceniche.

Sono questi i diktat più cari all'invenzione patafisica di Jarry il cui "tratto più geniale – ha scritto lo storico delle Avanguardie Henry Béhar- consiste nell'aver compreso, innanzitutto che solo l'opera granguignolesca, generata da bambini insolenti, poteva risolvere l'antagonismo delle estetiche drammatiche elaborate dal naturalismo e dal simbolismo".

E quindi seguiamolo questo maestro solitario che ha voluto inventare una "nuova scena" piena di bambini, maschere, indolenze, ellissi e dove compaiono una miriade di esplosivi "forcenés" lanciati nella pienezza di un urlo collettivo. Perché (come ogni vero patafisico sa) ogni singolo attimo della nostra esistenza deve essere intenso e di "straordinario" incantesimo forsennato.


del 12-02-2009 num. 028